Banche italiane: Intesa San Paolo e il fenomeno della concentrazione bancaria

Banche. E’ notizia di questi giorni il lancio, da parte di Intesa San Paolo di un’offerta pubblica di acquisto (OPA) di azioni di UbiBanca. L’operazione è finalizzata all’acquisizione da parte del gruppo bancario torinese. Intesa San Paolo consolida così la sua posizione di testa nel panorama bancario italiano e si colloca al terzo posto in Europa. Già prima dell’offerta pubblica, infatti, la capitalizzazione del gruppo assommava a 39,3 mld euro con 3370 filiali. Al secondo posto, in Italia, c’è il gruppo Unicredit, con 31, 4 miliardi e 2738 sportelli.

Completa il podio la BPM (già Banca Popolare di Milano) con 1759 filiali. Dopo l’ingresso di Ubi in Intesa, il Monte Paschi di Siena guadagna il quarto posto, nonostante gli scandali. Segue BPER (Banca Popolare dell’Emilia Romagna ) e due banche di proprietà francese: la Banca Nazionale del Lavoro e il Crédit Agricole Italia.

Banche italiane: gruppi sempre più grandi e più pochi

L’operazione di Intesa San Paolo è solo l’ultima del grande fenomeno di concentrazione bancaria che sta avvenendo in Italia da trent’anni a questa parte. Il gruppo Intesa, infatti, nacque nel 1998 dall’integrazione della CARIPLO con il Banco Ambrosiano Veneto. Quest’ultimo, a sua volta, era nato sulle ceneri del crack del Banco Ambrosiano, conseguente alla vicenda P2. Nel 1999 Banca Intesa acquista il 70% delle azioni della storica Banca Commerciale Italiana e, due anni dopo, ne completa l’assorbimento. Nel 2006 avviene la fusione tra Intesa BCI e SanPaolo IMI, che aveva già inglobato l’Istituto Mobilliare Italiano, subentrando al Ministero del Tesoro. Con il controllo di UbiBanca, Intesa conterà in totale 110.000 dipendenti. 75mila più della Fiat Italia che, attualmente, ne conta soli 34.710.

Unicredit, che segue Intesa al secondo posto, non è esente da fusioni e concentrazioni. E’ nata nel 1999 dalla fusione di Credito Italiano e Unicredito che, negli anni precedenti, avevano già acquisito numerose banche popolari del Nord-est Italia. Negli anni successivi, il processo di acquisizione è proseguito, spostandosi anche all’estero (Austria e Polonia). La maggiore operazione di Unicredit si è avuta nel 2007 con l’acquisizione di Capitalia, che aveva già acquisito Banca di Roma e Banco di Sicilia. Unicredit ha oggi 89mila dipendenti in 32 paesi.

Il fenomeno di fusione/concentrazione delle banche italiane travalica i nostri confini. La Banca Nazionale del Lavoro, infatti, è stata acquisita da BNP Paribas nel 2006. Il gruppo francese è attualmente al 1° posto in Europa per capitalizzazione e conta 189mila dipendenti in 75 paesi. L’altro gruppo transalpino Crédit Agricole ha assorbito, negli ultimi anni, una serie di casse di risparmio italiane, tra le quali CariParma. Ha circa 2500 sportelli in 49 paesi. Non è ai primissimi posti in Europa per capitalizzazione ma è prima in quanto a ricavi.

Sino al 1990 era lo stato a controllare il sistema bancario italiano

Il fenomeno della concentrazione degli istituti bancari evidenzia il fatto che, nella fase attuale del capitalismo, la piccola impresa non è più in grado di resistere alla concorrenza del più forte. Per quanto riguarda l’Italia, senza ricorrere a voli pindarici, la rivoluzione – e la conseguente privatizzazione del sistema – ha avuto inizio con l’approvazione della Legge Amato n. 218/1990. Essa abrogava la precedente legge bancaria del 1936. Il sistema creato da quest’ultima, infatti, era sostanzialmente controllato dallo Stato. Prevedeva ben sei Istituti di diritto pubblico: Banco di Napoli, Banco di Sicilia, BNL, San Paolo di Torino, MpS e Banco di Sardegna. Questi potevano compiere soltanto le azioni previste dalla legge. I privati, al contrario, possono fare tutto tranne ciò che è proibito dalla legge.

Chiaramente, i bilanci di tali banche erano sotto stretta sorveglianza del Ministero del tesoro, l’unico che poteva autorizzarne le spese. Agli istituti di diritto pubblico si affiancavano tre banche di interesse nazionale: Banca Commerciale, Banco di Roma e Credito Italiano. Tali istituti, per legge, potevano agire solo nel campo del credito ordinario. Non potevano fare prestiti all’industria né essere proprietari di valori industriali. E’ evidente che, con tale sistema, era praticamente impossibile che le banche fallissero.

La privatizzazione delle banche ha avuto in Enrico Cuccia il suo profeta

Sino ad allora, il credito a lungo termine era di competenza dell’IMI e quello a medio termine di un altro particolare organismo: MedioBanca. MedioBanca era in parte statale e in parte privata. Per la parte privata ne detrenevano il pacchetto azionario soprattutto le tre banche di interesse nazionale. Per oltre un quarantennio il “dominus” di MedioBanca è stato Enrico Cuccia. Fu lui a trasformare MedioBanca in una banca d’affari e a operare un gran numero di azioni di salvataggio delle aziende italiane. Infine, Cuccia spinse per la privatizzazione dell’intero settore bancario, a partire proprio da MedioBanca. Di qui la Legge Amato 218/90 che dette il via alle privatizzazioni e alla conseguente concentrazione.

Diamo tuttavia un’occhiata agli eventi oltreconfine e alla “grande storia”. Il fenomeno italiano si inquadra perfettamente nel panorama politico-economico internazionale successivo alla caduta del muro di Berlino. Già l’Italia era una mosca bianca nel mondo occidentale per il notevole controllo statale esistente sugli istituti di credito. Con il crollo del comunismo e delle democrazie popolari dell’Est europeo, tale controllo diveniva ancor più anacronistico. Inoltre, un così ampio intervento pubblico nell’economia, sia nel sistema reale che in quello del credito, appesantiva oltre misura il bilancio pubblico, con tutte le conseguenti ricadute economiche e monetarie. Sicuramente il mondo è cambiato. I nostri risparmi vanno a finire nella direzione che ci indica la storia, non in quella che più ci piace.

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