Ab ovo

uova

Nell’Italia della fine degli ’40 la gente aveva voglia di ballare, di scrollarsi di dosso la paura e gli orrori della guerra. Ci si riuniva nelle case o nelle sale da ballo e dai grammofoni o dalle piccole orchestrine si diffondevano le note dei ritmi americani reinterpretati dai cantanti italiani, come Natalino Otto, che accompagnato da Gorni Kramer fu uno dei pionieri italiani dello swing. Canzoni orecchiabili e soprattutto ballabili come «La classe degli asini» (di Larici – Rastelli – Ravasini) che prendeva bonariamente in giro la seriosità della scuola di allora.

«Dal cortile che confina con l’università, salta fuori una gallina che una domanda fa:
“Coccoroccoccò sentiamo un po’! Professore per favore mi vuol dir se è nato prima
l’uovo oppure la gallina?”. Che figura il professore non lo sa».

Già, è nato prima l’uovo o la gallina?

Una domanda che nel corso dei secoli si sono posti persino Aristotele, Plutarco, Macrobio, Ulisse Aldrovandi e Diderot.

L’uovo: un oggetto prima ancora che un alimento che attraversa la storia dell’umanità e conserva, pur nella sua semplicità, un fascino che lo ha reso protagonista della religione, della cultura popolare, dell’arte e ovviamente dell’alimentazione.

Tanto comune quanto ricco di simboli, con quella forma particolarissima che fece affermare a Bruno Munari, eclettico artista e designer di oggetti iconici come la lampada Falkland, che «l’uovo ha una forma perfetta, benché sia fatto col …».

La scoperta dell’uovo

Secondo recenti studi l’estinzione del Genyornis newtoni, un grande uccello preistorico australiano non in grado di volare, sarebbe dipesa in massima parte dalla predazione delle sue uova da parte dell’Homo sapiens circa 50.000 anni fa: a provarlo sarebbero i frammenti bruciati dei gusci delle uova di questo uccello simili a quelle di struzzo.

Affinché le uova, in particolare quelle di gallina, le più diffuse, entrassero sistematicamente nell’alimentazione umana ci sono volute tuttavia alcune migliaia di anni in più e sull’origine della domesticazione del pollo gli studi non sono concordi: si va dal 10.000 a.C. al 7.000 a.C. e si parla di un’area che va dall’India alla Cina anche perché non vi è unanimità di vedute su quale sia stato l’antenato selvatico del pollo domestico il quale, attirato dalla coltivazione dei cereali, è stato catturato e selezionato.

È possibile, peraltro, che la domesticazione sia avvenuta indipendentemente in epoche ed aree differenti anche perché, benché sia il più diffuso, l’uovo di gallina non è l’unico uovo di volatili domestici consumato concorrendo con l’uovo di anatra, di oca, di quaglia e, in misura minore, di struzzo, conosciuto anche dai Cartaginesi: tutti volatili domesticati in epoche ed aree diverse al pari di altri volatili, come la faraona, il tacchino ed il pavone allevati principalmente per le loro carni.

Molto diffuso è stato ed è tutt’ora anche il consumo di uova di pesce: dal caviale tratto dallo storione alla bottarga di muggine o di tonno sino alle uova di lompo, un succedaneo molto economico del caviale.

Prima che da noi diventassero specie protetta erano consumate anche le uova di tartaruga ancora diffuse nella cucina orientale.

In totale, considerata anche la sistematica predazione di uova di uccelli marini, sono, o sono state, circa una quindicina le specie animali di cui, in tradizioni culinarie differenti, si consumano o si sono consumate le uova.

Tornando alla gallina domestica quello che storicamente sappiamo è che, come attestato da Diodoro Siculo, gli Egizi giunsero a creare dei veri e propri incubatori di uova di gallina talmente complessi che qualcuno credette che funzionassero anche senza le galline. Solo nel 1751, parecchi secoli dopo la scoperta di Diodoro, lo scienziato illuminista francese René-Antoine Ferchault de Réaumur ne descriverà il corretto funzionamento nell’«Art de faire éclorre et d’élever en toute saison des oiseaux domestiques» attestando, peraltro, la straordinaria longevità di questa tecnica arcaica che gl’ispettori della FAO troveranno applicata ancora in età contemporanea.

In Europa la diffusione del consumo delle uova, soprattutto di gallina, avvenne con la progressiva espansione continentale dell’Impero romano.

Nella cucina dell’Antica Roma le uova furono considerate inizialmente un bene di lusso visto che rompere e mangiare un uovo poteva voler dire correre il rischio di sacrificare un pollo o una gallina e la produzione, tenendo conto dei metodi naturali di selezione e della mancanza di grossi allevamenti, non doveva essere poi così consistente.

Le uova facevano parte della «gustatio», l’antipasto romano, e l’espressione «ab ovo», che nel linguaggio moderno è utilizzata nel significato di «dal principio» era impiegata anche nella forma articolata di «ab ovo usque ad mala» (dall’uovo alle mele) nel significato, che richiamava l’inizio e la fine del pasto, di completezza di un discorso o di una dissertazione.

Alcuni detti popolari come: «meglio un uovo oggi che una gallina domani» (è preferibile un bene certo anche se piccolo, ad uno più grande, ma incerto) e «non si può fare una frittata senza rompere le uova» (per ottenere qualsiasi risultato bisogna pagare un prezzo) hanno origine nel valore intrinseco delle uova, che per lunghissimo tempo è stato piuttosto elevato al punto che in pieno medioevo le uova erano considerate un mezzo di pagamento.

A ciò si deve aggiungere la fortissima carica simbolica che da sempre ed in ogni cultura ha accompagnato le uova e che le rendeva un alimento da consumarsi solo in occasioni particolari.

Come è fatto un uovo

Tutti noi prima o poi ci siamo chiesti come fosse fatto un uovo il quale, come sappiamo, è composto di tre parti visibili: il guscio, l’albume (detto chiara) ed il tuorlo (il rosso).

Il guscio è costituito essenzialmente di carbonato di calcio e di piccole quantità di carbonato di magnesio e fosfato tricalcico composto però in modo da risultare poroso, permeabile ai gas e al vapore acqueo. L’albume, costituito in massima parte di acqua e per la restante di proteine (le albumine presenti anche nel corpo umano, nel latte, nei cereali e nei legumi) e di piccole quantità di zuccheri e sali minerali, oltre a rappresentare il nutrimento dell’embrione via via che esso si sviluppa, ha una funzione antibatterica ed è separato dal guscio da due membrane semiaderenti all’interno delle quali si forma quella camera d’aria che aumenta con l’età dell’uovo le cui dimensioni ci dicono quanto tempo è passato dalla deposizione. All’interno dell’albume due cordoni gelatinosi abbastanza tenaci, detti calaze, hanno la funzione di mantenere esattamente al centro il tuorlo. Quest’ultimo è la parte dell’uovo, composta per una metà di acqua e l’altra metà di proteine e lipidi, da cui si sviluppa l’embrione quando l’uovo è fecondato.

Ci sarà capitato di domandarci se quello che stiamo mangiando sia o meno un uovo fecondato e va subito chiarito che la piccola macchia rossa che di tanto in tanto compare nelle uova non ha alcuna relazione con la fecondazione, ma è una piccolissima perdita di sangue, peraltro innocua, della gallina. La fecondazione si rivela invece dalla presenza sulla superficie del tuorlo di una piccola macchia chiara, traslucida e biancastra detta disco germinativo.

Ai fini alimentari non fa alcuna differenza se l’uovo sia fecondato o meno, tuttavia è assai difficile oggigiorno che le uova fecondate giungano sulle nostre tavole sia perché il loro trattamento negli allevamenti è differente (e molti allevamenti orientati alla sola produzione di uova non prevedono la presenza di galli per mantenere più calme le galline) sia perché entro qualche giorno dalla deposizione gli allevatori sono in grado di distinguerle attraverso la tecnica della «speratura», una forte retroilluminazione dell’uovo che ne rivela la presenza dell’embrione.

Il valore simbolico dell’uovo

Pochi eventi esprimono la nascita e la vita come la schiusa delle uova, siano esse quelle di un uccello nel suo nido o delle tartarughe marine che hanno iniziato a ripopolare le nostre coste.

Un fenomeno naturale osservato dal genere umano sin dalla preistoria che ha caricato l’uovo di tutta una serie di significati simbolici ad ogni latitudine e, con diverse accezioni, in tutte le religioni.

L’uovo come oggetto che racchiude la vita e la fa riemergere, in forma diversa, dopo un periodo di attesa: da qui il simbolismo dell’uovo come vita-morte-rinascita che permea anche il cristianesimo nelle tradizioni pasquali.

L’uovo come simbolo di fecondità che nei secoli ha suscitato riti propiziatori come il dono delle uova, l’uso di interrare le uova durante la fondazione di una casa o di utilizzarle come amuleto durante la lavorazione dei campi.

L’uovo come icona di completezza, di perfezione e di purezza: l’espressione «cercare il pelo nell’uovo» indica la ricerca esasperata di difetti dove in effetti non ve ne possono essere.

Infine l’uovo, legato al serpente, come origine di tutte le cose, con tutta una serie di credenze che vedono l’origine del cosmo nascere da un uovo primordiale e che riecheggiano anche nelle prime elaborazioni della teoria contemporanea del «big bang» in cui l’uovo è sostituito da un atomo primitivo.

I Romani non avevano un culto specifico che li legasse alle uova che erano di fatto fuse con il culto della Dea madre: le oche erano sacre a Giunone e furono proprio le oche sacre del Campidoglio a starnazzare risvegliando le sentinelle e consentendo a Marco Manlio di respingere l’assalto dei Galli di Brenno, mentre la mitologia greca, che nella corrente orfica adottò l’uovo primordiale, aveva fatto dell’uovo un simbolo di fecondità come nel mito di Leda, fecondata da Zeus-cigno dalle cui uova nacquero Castore con Elena e Polluce con Clitennestra. A sua volta Platone, nel «Simposio» utilizzò l’uovo tagliato in due come metafora della suddivisione dell’umanità in donne e uomini.

Nell’arte le rappresentazioni simboliche dell’uovo sono moltissime: quella forse più nota è la Pala di Brera, o Pala Montefeltro, di Piero della Francesca, in cui l’uovo, in questo caso di struzzo in omaggio alla casata di Montefeltro, sospeso sul capo della Vergine il cui ovale del viso ne richiama la forma perfetta, simboleggerebbe la verginità di Maria perché secondo la credenza popolare l’uovo dello struzzo sarebbe fecondato direttamente dai raggi solari.

In età contemporanea l’uovo è stato protagonista delle opere di René Magritte, che ne era talmente affascinato da farne una costante delle sue opere, come ne era attratto Salvador Dalì che ne fece una vera e propria icona.

Il Castel dell’Ovo di Napoli

L’uovo entra anche nel mito del Castel dell’Ovo di Napoli, che sorge sull’isolotto di Megaride, al centro del golfo, su cui approdarono, tra l’VIII ed il VII secolo a.C., i Cumani che fondarono la città di Parthenope.

Il Castello, inizialmente chiamato Castel Marino, deve il suo nome attuale alla leggenda della sirena Parthenope che, frustrata dalla resistenza di Ulisse, si lasciò andare alla deriva rimanendo impigliata tra gli scogli di Megaride e lì depose un uovo il quale, trovato dal poeta Virgilio, fu da questi occultato nei sotterranei del Castello così che, secondo la credenza popolare, da quell’«ovo pendevano tutti li facti e la fortuna del Castel Marino».

L’uovo nell’alimentazione

Sembra incredibile che con tutto questo carico simbolico l’uovo sia diventato un bene di consumo comune al punto che oggigiorno un prezzo di circa 60 centesimi per uovo, pari alla metà di una tazzina di caffè, è considerato eccessivo.

La produzione mondiale si aggira intorno alle 80 milioni di tonnellate annue ed è distribuita tra Asia, con circa il 60% e la Cina produttore leader, America con circa il 20%, Europa con circa il 15%, Africa con il 5% e la restante in Oceania, fanalino di coda mentre il consumo, con taluni squilibri continentali, va di pari passo.

A favorire la diffusione del consumo delle uova è stata la selezione delle galline cosiddette ovaiole che arrivano produrre ciascuna circa 300 uova l’anno. Il settore avicolo, peraltro, è, tra gli allevamenti di animali, quello maggiormente soggetto ad industrializzazione la quale, oltre che eticamente censurabile, danneggia la nostra salute: studi recenti hanno dimostrato, semmai ve ne fosse il bisogno, che le uova da allevamenti industriali hanno un rapporto di nutrienti decisamente squilibrato rispetto a quelle da allevamenti sostenibili.

L’uso delle uova in cucina è dovuto sia al loro altissimo potenziale energetico, sia alla loro versatilità.

Dai tempi più remoti il consumo dell’uovo, specie quello appena deposto, è stato associato alla vigoria fisica ed in particolare a quella sessuale. Il corridore Alfredo Binda affermava ad esempio di essere capace, durante una corsa, di bere una media di 28 uova freschissime, provenienti dall’allevamento di famiglia, mentre il Cinema, con la celebre scena di Lando Buzzanca ne «Il gatto mammone», ha consacrato l’immagine dell’uovo come corroborante della virilità e della fecondità maschile.

Quanto alla cucina sarebbe sufficiente raccontare che le oltre 100 pieghe del cappello da Chef, la toque blanche, identificano, secondo la tradizione, i cento e più modi con cui lo Chef è in grado di preparare le uova alla perfezione.

In realtà, considerato che l’uovo si consuma anche crudo: succhiato direttamente da un piccolo buco fatto sul guscio oppure «all’ostrica», una preparazione citata anche da Carnacina che prevede il condimento del solo tuorlo di uova ovviamente freschissime, gli impieghi in cui l’uovo è protagonista in cucina, come ingrediente principale o come coadiuvante, sono assai più di cento.

Parafrasando il detto romano, allora, il pasto contemporaneo va «ab ovo usque ad ovum» visto che sovente l’uovo apre e chiude il pasto, mentre nel menù tradizionale, ora desueto, l’uovo, come preparazione a sè stante, entrava nei cosiddetti piatti di mezzo.

Tradizionalmente le proprietà dell’uovo in cucina si distinguono in addensanti, leganti, emulsionanti e schiumogene.

Come addensante si trova ad esempio nelle creme, come legante nella pasta all’uovo, nelle frolle e ancora nelle creme, come emulsionante nelle salse emulsionate: dalla maionese (a freddo) alla olandese e alle sue derivate (a caldo), e come esempi di schiumogeno si possono fare i diversi tipi di meringhe ed il pan di spagna il quale, pur essendo privo di agenti lievitanti, risulta soffice proprio per la capacità dell’albume dell’uovo d’incorporare aria.

Le proprietà dell’uovo, peraltro, si manifestano in modo differente se lo si utilizza intero, oppure se si usa solo l’albume o solo il tuorlo.

L’albume è quello che, montato con una frusta al fine di incorporare la maggior quantità possibile di aria, esprime maggiormente il carattere schiumogeno dell’uovo il quale, in pasticceria, si stabilizza attraverso una soluzione zuccherina a caldo realizzando la meringa italiana, utilizzata in moltissime preparazioni iconiche come le torte nuziali.

Il tuorlo, invece, è utilizzato come addensante, legante ed emulsionante.

Per esaltare le diverse peculiarità del tuorlo e dell’albume, in moltissime preparazioni albumi e tuorli vengono lavorati separatamente per poi eventualmente essere uniti all’impasto all’ultimo momento.

La molteplici caratteristiche chimiche e meccaniche delle uova, oltre che rendere praticamente impossibile l’elencazione, anche per sommi i capi, delle principali preparazioni in cui trovano impiego, le rendono l’alimento di origine animale più difficile da sostituire con un corrispondente vegetale e questo giustifica la varietà delle trasformazioni cui è soggetta nella cucina vegana la soia che, contenendo una buona quantità di albumina, è quello tra gli alimenti vegetali maggiormente impiegato in sostituzione delle uova.

Tra i tanti utilizzi dell’albumina, la proteina presente nell’albume, oltre che in ambito industriale (in passato nella concia delle pelli e persino nella fotografia) vi è quello della «chiarificazione» in cui questa proteina, che coagula a bassa temperatura e non apporta modifiche olfattive o gustative al prodotto finale, è impiegata per catturare le particelle in sospensione di un liquido che può essere il brodo, ma anche in vino durante il processo di vinificazione.

Le uova fanno male?

Nel 1968 l’American Heart Association pubblicò uno studio secondo il quale per evitare problemi cardiovascolari era necessario assume non più di tre uova a settimana. Una raccomandazione molto difficile da rispettare non tanto per il consumo delle uova in quanto tali, ma per la molteplicità del loro impiego.

Da allora le opinioni del mondo scientifico sull’impatto alimentare delle uova sulla salute sono rimaste discordi anche se ora si tende a ritenere che quella prescrizione, salvo per coloro che hanno un valore elevato di colesterolo, sia eccessiva.

Come tutte le questioni che riguardano gli effetti sulla salute dei singoli alimenti è difficile dare una risposta che prescinda dallo stato di salute, dall’età, dalla struttura della dieta e dagli stili di vita e come per tutti i cibi l’importante è non esagerare: nella dieta mediterranea ad esempio si consigliano sino a quattro porzioni di uova a settimana, senza contare però l’impiego delle uova nelle altre preparazioni.

Come si conservano le uova?

Una delle domande ricorrenti nei riguardi delle uova è: perché le uova in vendita sono a temperatura ambiente, ma una volta acquistate devono essere conservate in frigorifero?

La risposta è fornita dal Regolamento Ce 589/2008 il quale spiega che per il carattere stesso del guscio d’uovo, che è permeabile al vapore acqueo che si crea più facilmente con gli sbalzi di temperatura e può essere fonte di contaminazione batterica delle uova, le condizioni meno favorevoli per evitare la formazione della condensa durante il trasporto delle uova ed il loro immagazzinamento prima della vendita sono quelle che si realizzano a temperatura ambiente.

Una volta acquistate, tuttavia, le uova devono essere conservate in frigorifero nelle loro confezioni (sulle quali è normalmente indicata anche la loro «scadenza») o, preferibilmente, messe con le loro confezioni in contenitori ermetici. Le uova vanno posizionate in uno dei ripiani intermedi del frigorifero: mai nello sportello dove più facilmente, con l’apertura del frigorifero, si verificano sbalzi di temperatura, il che, per inciso, rende i portauova che ancora vengono forniti con i frigoriferi una delle cose più inutili esistenti al mondo.

Se non sappiamo se un uovo abbia o meno superato il termine indicato dal produttore per il suo consumo la soluzione preferibile è, a malincuore, quello di gettarlo: le uova che abbiano superato tale termine presentano infatti rischi elevati di tossinfezione da Salmonella e non è il caso di tentare la sorte, né di affidarsi, per verificarne la freschezza, ai cosiddetti rimedi della nonna. Occorre anche tener presente, infatti, che la conservazione nel nostro frigorifero domestico potrebbe non essere stata svolta in modo ottimale.

Alla fine si è capito se è nato prima l’uovo o la gallina?

Il severo professore de «La classe degli asini» avrebbe potuto soddisfare la curiosità della gallina con la più classica delle risposte evasive: dipende.

Per i creazionisti la risposta non può essere che: «la gallina» che come tutti gli uccelli alati fu creata il quinto giorno della Creazione.

Se invece si aderisce alla teoria dell’evoluzione la risposta è: «l’uovo».

Secondo l’evoluzionismo infatti, che presuppone il mutamento da una generazione all’altra dei caratteri trasmessi geneticamente, la gallina, come tutti gli uccelli, discende dai dinosauri teropodi.

Un giorno del giurassico quindi è stato prodotto un uovo che non conteneva più l’embrione di un dinosauro, ma di un uccello e la gallina è giunta a noi attraverso le mutazioni di un numero indefinito di uova di uccelli che l’hanno preceduta. Ad un certo momento della catena evolutiva allora una quasi-gallina, che però non era ancora completamente una gallina, ha deposto un uovo contenente l’embrione di una gallina.

Il professore poteva risparmiarsi la brutta figura.

Foto di Couleur da Pixabay

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