Il suicidio dell’Occidente, la summula del pensiero scrutoniano

«Cosa ne pensa degli Ogm?», domanda l’intervistatore, e Roger Scruton risponde: «Io sono un Ogm, e per questo ne sono a favore, a patto che siano attentamente costruiti per generazioni, proprio come me». Da una vita il gran conservatore filosofico Scruton ci abitua a risposte come quelle. O come queste: «Il culto della bruttezza e quello della distorsione morale sono la stessa cosa»; «Ci sono state persone in ogni periodo della storia prive di buon senso e che reclamavano il prestigio dell’arte per la spazzatura che producevano»; «C’è tanto spazio per la fede, ma la disciplina della fede è dura; ed è per questo motivo che noi fuggiamo da essa». Le traggo tutte da un libriccino che vale summula del pensiero scrutoniano, in libreria a giorni: è una intervista, realizzata bene da Luigi Iannone (Le Lettere, Firenze 2010, pp. 72, € 9,50). Il titolo? Una staffilata: Il suicidio dell’Occidente. Peraltro, una citazione, di fonte imprescindibile, che vale il sigillo di una tradizione culturale. Nessuno, infatti, ovvero solo le anime piccole che non sono sempre belle, scorda il grande (pure di formato) classico, identicamente titolato, che, datato 1964, in Italia apparve l’anno dopo per le mai abbastanza ringraziate Edizioni del Borghese di Roma, firmato dall’impareggiabile James Burnham (1905-1987). Vale a dire un ex trotzkysta passato alla Destra culturale della National Review di William F. Buckley jr. (1925-2008), quindi per certi versi il padre remoto dei neocon, uno dei più acerrimo nemici che l’Unione Sovietica abbia mai avuto, l’inventore dell’espressione “terza guerra mondiale” per riformulare quella che troppo disinvoltamente è stata definita Guerra fredda, e tra i più seri stigmatizzatori dei vizi gnostici insiti subdolamente nel concetto di tecnocrazia, chez nous scoperto a suo tempo da una Mondadori che era un’altra Mondadori, e poi scivolato, per troppi, nel dimenticatoio. Burnham scrisse il suo Il suicidio dell’Occidente – per la precisione intitolato Il suicidio dell’Occidente. Un saggio sul significato e sul destino del liberalismo americano – quando a nessuno pareva vero, e gridava al nostro mondo sordo di allora che eravamo, che siamo, sull’orlo dell’abisso, basta un passo. Che serviva sì opporsi ai barbari ideologici che venivano da fuori, ovvio; ma che al contempo si doveva, si deve, cauterizzare l’emorragia interna per non finire male come prestissimo stiamo finendo male. Benvengano cioè i “Cold War liberal” alla “Charlie” Wilson (1933-2010), goderecci e nichilisti il cui unico vantaggio per noi è quello che mirano dalla parte giusta, contro i comunisti (oggi magari gli jihadisti), ma ciò solo strumentalmente. Anche essi, infatti, con il loro relativismo da happy hour, minano non meno ogni resistenza efficace di civiltà. Sono del resto cose così che hanno capito, più tardi, da noi una Oriana Fallaci (1929-2006), oltre senza negare se stessa, o, nei Paesi Bassi, un Geert Wilders, oltre senza negare un Pim Fortuyn (1948-2002). Ma, non avendogli dato ascolto per tempo, il timore che Bunham nutriva ieri si trasforma nella certezza che oggi accompagna Scruton. Me ne dice qualcosa di sapido Howard Segermark, analista  politico di lungo corso, Visiting Fellow in Monetary Economics alla Heritage Foundation di Washignton, ex braccio destro di Jesse Helms (1921-2008), il senatore Repubblicano graniticamente conservatore del North Carolina), una passione – trasparentissima – per i chopper stile Easy Rider.  Segermark dice che, «contrariamente a quanto pensava un Arnold J. Toynbee (1852-1833), pare proprio che le grandi civiltà impieghino non secoli, ma settimane a crollare…». Sfogliate, uno per uno, gli argomenti trattati da Scruton con Iannone, dall’estetica alla democrazia, dai diritti individuali al “pensiero debole”, e ne avrete ben donde. Nel libro-intervista, del resto, Scruton pare tutto fuorché un “talebano occidentalista”. Dosi significative del suo pensiero sono discutibili, altre in itinere. Fa nulla. Il pregio del suo talento filosofico è, da decenni, quello di non avere mandato il cervello all’ammasso e la coscienza a dormire di fronte allo smembramento di quella costruzione plurisecolare che, come gli OGM di cui sopra, come Roger Scruton-OGM stesso, è la nostra civiltà. Cassandra? Sì, tutti toccavano ferro al suo passaggio, ma la veggente ci prese, e nemmeno ci voleva molto. Né, leggetelo, Scruton è un corvo. Il pessimismo non abita da lui. Come diceva Nicolás Gómez Dávila (1913-1994), un altro «pagano che crede in Cristo» come Scruton, il cristiano vero deve sempre militare con la guascona allegria che anima il guerrigliero. La stessa curata come un orto da quel raffinato bohémien di una civiltà autenticamente a misura di uomo che risponde al nome di Roger Scruton. 

Marco Respinti

www.marcorespinti.org

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