L’esperienza cristiana non può essere ridotta solo ad assistenza umanitaria

san_pietro

Con la solennità di “Cristo Re dell’universo” si chiude quest’anno liturgico, durante il quale abbiamo letto e meditato le pagine del Vangelo secondo S. Matteo. Oggi la liturgia ci propone la pagina del “giudizio finale” (Mt 25,31-46), un brano molto famoso che non compare nella redazione degli altri evangelisti e che troviamo prima del racconto della Passione.

La narrazione del giudizio finale è la sintesi più alta di tutto il messaggio evangelico matteano e rappresenta, tra l’altro, il culmine dell’itinerario pedagogico che il discepolo di Gesù, quello di tutti i tempi, intende percorrere. Ma è anche una pagina di difficile interpretazione, molto discussa, che ci mette in guardia dal cosiddetto “cristianesimo anonimo” o “cristianesimo senza Cristo”, una sciocca interpretazione, semplicistica e, purtroppo, molto attuale anche nella Chiesa, che riduce l’essenza della nostra fede soltanto all’impegno attivo verso i poveri. Matteo, tuttavia, attraverso la narrazione del giudizio finale vuole comunicarci qualcosa di ancora più profondo e cioè, il senso teologico della storia e del fine a cui essa tende. Le immagini che scorrono in questa pagina evangelica sono semplici, il loro linguaggio è popolare, il loro messaggio è di estrema importanza: attraverso queste righe, infatti, ci viene comunicata la verità sul nostro destino ultimo e svelato il criterio con il quale sarà valutato il nostro ‘aver amato’. “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Chi non conosce questa pagina? Essa fa parte della nostra civiltà, ha segnato la nostra storia, la cultura, ha illuminato la gerarchia dei valori e le istituzioni, ha ispirato le innumerevoli opere sociali.

Le prime battute del Vangelo sono caratterizzate da tre titoli, tutti di natura messianica: Figlio dell’uomo, pastore e re. Sono denominazioni di carattere biblico in stretta relazione tra loro: il Figlio dell’uomo è raffigurato seduto sul trono della sua gloria; Egli è Colui che, da ricco che era, è disceso dal cielo per venire a condividere la nostra povertà; il pastore, invece, già menzionato da Ezechiele nella prima lettura (Ez 34,11-17), è Colui che protegge le pecore dai tanti pericoli, prendendosi cura di loro; il re, infine, è diverso da tutti quelli che vogliono dominare con il potere; egli, infatti, non intende operare secondo criteri politici ma solo con la forza dell’amore. Tutto ha avuto inizio, cari fratelli e sorelle, quando Cristo, il Verbo di Dio, ha accettato di venire nel mondo, e non potremmo mai comprendere abbastanza la sua identità di ‘Messia’ se prima non percorriamo con Gesù l’itinerario dell’umiliazione, se non viviamo come Lui l’esperienza del Figlio che, assumendo la nostra stessa carne mortale, la fa splendere di gloria.

Non possiamo comprendere Gesù, non comprenderemo affatto la novità cristiana da Lui apportata se dimentichiamo che Egli è veramente il Figlio che vive del Padre e nel Padre. Il senso ultimo della storia, quella del mondo e dell’umanità, è il compimento del progetto del Padre, quello cioè di consegnare a ciascuno di noi, attraverso Cristo, il Regno che Egli ha preparato sin dalla creazione del mondo; è chiaro, quindi, che nella persona di Gesù Cristo, l’inizio e la fine della storia si congiungono; in Cristo, il desiderio del Padre è pienamente realizzato.

La storia, l’uomo e il mondo risulterebbero solo un’assurdità, un completo fallimento se non ci fosse stata la Croce di Cristo ad introdurre l’uomo alla comprensione nuova della realtà: “tutto è stato fatto per mezzo di Lui e nulla è stato fatto senza di Lui” (Gv 1, 3). Le pagine del Vangelo di Giovanni sono il commento più bello a tutto questo scenario. Il “Dio-Amore”che troviamo nelle pagine del ‘discepolo prediletto’, ‘generato’ e non ‘creato’ dal Padre, ha diviso in due grossi blocchi l’intero corso della storia, sconvolgendo, ancora oggi, ogni genere di coscienza. La fonte di ogni cosa, quindi, è riconducibile all’Amore del Padre: è il Padre che crea, è il Padre che invia il Figlio sulla terra, è l’Amore del Padre ciò che Gesù condivide con gli uomini. è proprio questa, dunque, la ragione per cui l’esperienza cristiana non può essere ridotta solo ad assistenza umana o umanitaria. Quel genere di assistenza che non viene illuminato dall’esempio di Cristo non è vero amore; quella solidarietà pensata e praticata a prescindere dall’Amore non è certamente immagine dell’amore di Cristo, ma mera ‘filantropia’.

La regalità di Cristo che la liturgia ci fa contemplare, e che vogliamo fare nostra, non è quella fatta di potere, di armi, di leggi; quella di Cristo è una regalità che vive di una sola legge: l’Amore. Alla fine dell’anno liturgico, carissimi fratelli e sorelle, la Parola di Gesù penetra nel nostro cuore, ci mette in crisi e ci pone una serie di domande a cui necessariamente dobbiamo rispondere: quante volte ci siamo lasciati afferrare, trasformare dall’amore di Cristo? Quante volte abbiamo lasciato che la nostra vita fosse modellata dalle sue mani? Quante volte ci siamo lasciati amare, sostenere da coloro che davvero erano strumenti del suo Amore? Realmente abbiamo amato i poveri, i deboli, i piccoli, che sono l’immagine più vera di Gesù, divenuto povero per condividere la nostra umanità? Abbiamo imparato un po’ di più a gustare la vita e a custodirla gelosamente come un dono inestimabile del Padre? Abbiamo reso più piacevole l’esistenza dei nostri fratelli, perché solo questo, alla fine, è davvero il Regno dei cieli?

La Vergine Maria, la più umile di tutte le creature e la più grande agli occhi di Dio, la Regina che siede alla destra di Cristo Re, interceda per noi perché là dove il Signore ci ha posto possiamo realizzare pienamente la missione cristiana. 

Frà Frisina

foto: viagginews.com

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