Sesso e sangue in UK

Londra, la città dove le persone si sentono libere.

Qui puoi essere chi sei e nessuno ti guarda se baci il tuo fidanzato e sei un uomo. Nè si stupiscono se tieni per mano la tua fidanzata e sei una donna.

La sessualità non incide nei colloqui di lavoro, quel che la gente fa nella propria camera da letto resta un fatto privato, come è giusto che sia, e ai vertici di molte grande aziende della finanza siedono donne, gay, lesbiche. 

Non ci sono pregiudizi. 

Fino a che non vai a donare il sangue. 

Allora la sessualità conta eccome.

Donare sangue è un atto di grande solidarietà: le trasfusioni aiutano, ogni giorno, migliaia di persone la cui sopravvivenza è legata alla generosità di tanti, anonimi, donatori. 

Tra questi anonimi volevano rientrare anche Francesco e Diego, i nomi non sono di fantasia.

L’NHS, il servizio sanitario pubblico britannico, ha da tempo lanciato un appello a tutti coloro che abbiano contratto il covid-19: il plasma degli ex contagiati potrebbe aiutare altri malati e per questo si cercano donatori. E Diego e Francesco, che il covid lo hanno avuto, si sono resi subito disponibili.

Si sa che per essere donatori di sangue ed emoderivati bisogna avere alcune caratteristiche, tipo un’età compresa tra i 18 ed i 65 o 70 anni, a seconda dei paesi, un peso non inferiore a 50 chili, e bisogna aver tenuto nel trimestre precedente la donazione un certo tipo di vita, ad esempio non essere stati sottoposti ad interventi chirurgici, non aver fatto tatuaggi o piercing, non aver avuto rapporti sessuali occasionali. E questo non per sanzionare la vita sessuale del donatore, ma per essere sicuri che non abbia corso il rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili, l’aids per dirne una, il cui periodo finestra è tre mesi. 

Proprio per questo le disposizioni in materia di donazioni, in UK, prevedono che i cosiddetti sex workers”, espressione elegante per definire le prostitute e, in genere, tutti coloro che lavorano nel mondo del sesso, possano donare sangue solo a distanza di tre mesi dall’ultimo rapporto “lavorativo”, protetto o meno che fosse. E ci sta. Come ci sta che quando si va a donare il sangue vengano poste domande sulla vita privata, per sapere se siano state tenute condotte a rischio di contagio.

Quindi a me domanderebbero: 

“Are you married?” sei sposata?

“Yes, with Ammi.” e dopo essersi sincerati che Ammi è un uomo mi direbbero “Great!” ottimo, e continuerebbero chiedendomi da quanto e cose simili.

Anche a Francesco è stato chiesto e lui ha risposto:
“Yes, with Diego.”

“Ohhhh!” e quando i britannici fanno “ohhhhh” è perché butta male, “Are you gay?” che c’era da rispondere “no, figurati, mi sono sposato con un uomo per sbaglio.”

“Yes” ha risposto Francesco con ovvia naturalezza

“Well, I’m afraid you can’t give blood”, mi spiace non potete donare sangue. O meglio, potrebbero ma solo a distanza di tre mesi dall’ultimo rapporto.

Le regole per la donazione del sangue ed emoderivati prevedono, infatti, che gli MSM – Men who have Sex with Men, uomini che abbiano fatto sesso con altri uomini – siano soggetti ad una restrizione di tre mesi dall’ultimo rapporto sessuale. Anche se sono sposati. Anche se hanno un unico partner. Da anni. Da 11 anni, nel caso di Diego e Francesco.

In pratica: prostitute e gay sono soggetti allo stesso protocollo, come se avessero lo stesso, promiscuo, stile di vita. 

La limitazione è in vigore dal 2017. Precedentemente era peggio: il periodo di astinenza richiesto era 12 mesi e prima del 2011 ai gay, in UK, era addirittura vietato donare sangue, come se il rischio fosse determinato dall’orientamento sessuale e non dal comportamento. E visto il perdurare delle prescrizioni, i britannici devono avere ancora dubbi in proposito.

Se si considera che in Italia il divieto c’era, causato dalla improvvisa diffusione dell’HIV, ma è stato eliminato nel 2001, ormai quasi vent’anni fa, c’è da riflettere sulla efficienza di un apparato burocratico che non sa aggiornare le norme ai tempi.

E, forse, ci sarebbe da riflettere anche sulla effettiva assenza di pregiudizi dei britannici in ordine alla sessualità. Perché è vero che non ci badano, non te lo chiedono, non si interessano; poi, però, sinonimo di eterosessuale è “straight”, ossia “dritto” ma anche “giusto, onesto, persona per bene”.  E gli altri sono gay.

Sì, Londra è la città dove tutti sono liberi di essere se stessi.

Ma qualche domanda bisogna porsela.

Foto di Ahmad Ardity da Pixabay 

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