Emilio Praga: la Scapigliatura tra l’addio ai valori tradizionali e la ricerca di una nuova identità

Emilio Praga

«Noi siamo i figli dei padri ammalati;/aquile al tempo di mutar le piume,/svolazziam muti, attoniti, affamati,/sull’agonia di un nume». Inizia così Preludio, la poesia-manifesto della Scapigliatura in cui il poeta Emilio Praga descrive la condizione spirituale degli intellettuali della sua generazione. Quel «Noi» sono gli scapigliati, i bohémien, i poeti maledetti che soffrono le contraddizioni della vita nell’Italia postunitaria. Anche Praga — che più di altri ha condotto la vita del “maledetto” assunta da Baudelaire — è uno dei  «figli» annoiati di quei «padri» che sono i romantici. Padri «ammalati» perché hanno sofferto quel dissidio spirituale che li vedeva perennemente divisi tra il reale e l’ideale, ma che comunque erano eroicamente tesi ai nobili obiettivi risorgimentali. 

Uno di questi padri è certamente Alessandro Manzoni. Forse è a lui che Praga si riferisce quando parla di «nume». I numi sono talmente grandi che chiedono di essere obbediti, come i patriarchi. E i discendenti, per non essere schiacciati dal loro peso, si ribellano ma non riescono mai a liberarsi del tutto dalla loro influenza. Infatti si può dire che gli scapigliati abbiano un atteggiamento di amore-odio nei confronti dell’autore di I promessi sposi. Da una parte i valori legati alla fede religiosa che egli rappresenta vengono riconosciuti come scaduti, ormai impraticabili. Dall’altra, nel deserto valoriale della modernità, gli scapigliati sentono forte la mancanza delle solide certezze manzoniane. 

La salvezza impossibile e la ricerca di una nuova identità

«Nebbia remota è lo splendor dell’arca,/ e già all’idolo d’or torna l’umano,/e dal vertice sacro il patriarca/s’attende invano». Con questa metafora Praga paragona la condizione dei nuovi poeti — lontani dai valori religiosi che sono stati soppiantati dal culto dei beni materiali — a quella degli Ebrei del deserto. Questi, ormai dimentichi dell’Arca santa e delle Tavole della legge, adorano il vitello d’oro mentre sulla vetta del Sinai si attende inutilmente il ritorno del profeta. La salvezza non arriverà né per loro né per gli intellettuali moderni. Ormai anche la «musa bianca» è stanca di aggrapparsi inutilmente al Sudario.  

Tagliare con le proprie radici culturali è sentito come doloroso ma necessario. I «figli» devono cercare la propria identità, anche a costo di abbandonare la virtù per il vizio. Essi rivendicano il loro posto nel mondo a gran voce: «Casto poeta che l’Italia adora,/Vegliardo in sante visioni assorto,/tu puoi morir!… Degli antecristi è l’ora!/Cristo è rimorto!». Si nomina l’Anticristo, che nell’Apocalisse è la personificazione del diavolo mentre nella società contemporanea è la religione del profitto che mette sotto terra i valori tradizionali. 

Lo spleen e il vero

In questo contesto l’unica eredità su cui i nuovi poeti possono contare è quella «del dubbio e dell’ignoto». Praga parla di «Noia». È la noia malinconica che Baudelaire chiamava spleen, uno degli ingredienti che — insieme al vizio e alla malattia interiore — rendono misera e desolata la vita moderna. Un altro riferimento al poeta di I fiori del male è il verso «l’Ideale che annega nel fango». Ricorda molto la corona del poeta laureato che in Perdita d’aureola finisce nella melma e viene privata di tutta la sua sacralità. Scriveva Baudelaire: «ecco che la mia aureola per un brusco movimento m’è scivolata dalla testa nel fango della carreggiata».  

Lo scivolamento dell’aureola indica che rincorrere l’Ideale non è più possibile. A questo punto, a Praga e agli scapigliati non resta che cantare il vero. Non un vero inteso in senso scientifico o positivistico, ma concepito come rivelazione senza filtri di una verità cruda e desolante. Una realtà a cui non si può che rassegnarsi perché ormai il processo che vede la ferrovia mangiarsi chilometri di campi coltivabili non è più reversibile. A tal proposito, nella poesia La strada ferrata, Praga scriverà: «Addio, pace de’ campi pensosi,/ solitarie abitudini, addio;/ l’operaio sul verde pendio/ già discende il ferrato cammin».

Foto di André Santana AndreMS da Pixabay

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