Jobs Act, aspettative e fiducia. Il governo si apra al confronto

jobsact-2L”’endorsment” al Job Act del premier Renzi ricevuto dal Ministro Padoan, non esattamente l’ultimo uomo della strada, suona più o meno in questi termini: il Jobs Act recherà benefici all’occupazione se ci sarà fiducia nella ripresa, “se le aspettative positive degli imprenditori si consolidano, si attrezzeranno rapidamente per adeguare la capacità produttiva alla domanda crescente ”.

Viene quindi da chiedersi, riusciranno gli imprenditori sulla base del Jobs Act, ma anche di altro verrebbe da dire, a consolidare le loro aspettative positive e, soprattutto, quali mai saranno queste aspettative positive degli imprenditori?

Ad essere malevoli, le aspettative degli imprenditori sembrerebbero andare nel senso di liberare loro le mani da lacci e lacciuoli che impediscono/impedirebbero loro di assumere prima e tenere in azienda poi i lavoratori che più soddisfano le loro esigenze alle condizioni e per il tempo da essi ritenuto utile. In altre e meno crude parole, gli imprenditori si attendono flessibilità all’ingresso, ma soprattutto in uscita dal mondo del lavoro.

Eppure, secondo quanto ci dicono Renzi e il Ministro del Lavoro Poletti, soprattutto il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, garantirebbe finalmente ai lavoratori condizioni migliori di accesso e permanenza nel mondo del lavoro e ciò già a partire dal prossimo mese di marzo, Non a caso lo stesso Renzi, dando enfasi alla sua riforma del lavoro, ha parlato di “giornata storica”: “Nello stesso momento in cui noi rottamiamo e superiamo un certo modello di diritto del lavoro, allo stesso modo superiamo i co.co.co. e i co.co.pro. Per la prima volta c’è una generazione che può vedere la politica far la guerra non ai precari ma al precariato. […] Una generazione vede finalmente riconosciuto il proprio diritto ad avere tutele maggiori. Parole come mutuo, ferie, buonuscita, diritti entrano nel vocabolario di una generazione fino ad ora esclusa”.

Questa enfasi è condivisa anche dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti che ha affermato: Al centro delle misure del governo c’è una cosa semplice ma essenziale: in Italia da molti anni è diventato normale assumere con tutte le forme di contratto meno il contratto a tempo indeterminato. La scommessa è rovesciare questo fatto, la normalità sia l’assunzione a tempo indeterminato, lo devono fare tutti.”

Ora la domanda che sorge spontanea è: riusciranno a convivere le aspettative positive degli imprenditori e quelle del Governo? Soprattutto e prima di tutto e con buona pace del ministro Padoan, riuscirà mai il Jobs Act a soddisfare “anche” le aspettative, almeno quelle principali ed elementari, dei lavoratori?

Il punto fondamentale, se non altro dal punto di vista ideologico, riguarda proprio il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti per il quale l’articolo 18, per come conosciuto, non si applicherà per i primi tre anni di assunzione.

L’articolo 18 viene così riformato, anche se alcuni hanno detto cancellato di fatto, anche per i lavoratori che hanno superato i primi tre anni di assunzione: rimane in vigore per i licenziamenti discriminatori e anche per i licenziamenti disciplinari (ma si cercherà di uniformare il comportamento dei giudici), cambia invece per i licenziamenti economici: il reintegro non è più previsto nemmeno in caso di motivazioni economiche manifestamente infondate.

Di fatto, un primo successo sembrano averlo raggiunto proprio gli imprenditori che incassano la conferma delle nuove regole sui licenziamenti collettivi (almeno cinque dipendenti nell’arco di 120 giorni) che prevede il reintegro del lavoratore solo nel caso in cui risultino violati i criteri di scelta del lavoratore da licenziare ( il presidente di Federmeccanica Storchi sostiene che i licenziamenti collettivi devono rimanere inseriti nel contratto a tutele crescenti perché sono per definizione licenziamenti economici e quindi oggettivi ).

Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera anche al nuovo ammortizzatore sociale Naspi che in caso di disoccupazione non volontaria; da maggio prossimo, avrà una durata massima di 24 mesi (inizialmente, poiché in assenza di risorse specifiche, dal 2017 la sua durata si ridurrà a 18 mesi).

Nei prossimi mesi il Governo dovrà dare forma definitiva a questo primo riordino della materia del lavoro (dopo la c.d. riforma Fornero) e, probabilmente, una buona parte di esso, ad esempio in tema di pubblica amministrazione, richiederà altro tempo e un non semplice confronto tra i contrapposti interessi. Probabilmente è quindi troppo presto per esprimere qualunque giudizio, ma non ci si può esimere da alcune considerazioni pur preliminari.

Colpisce ad esempio il sostanziale superamento dell’articolo 13 dello statuto dei lavoratori in tema di variazione, anche in “pejus”, delle mansioni di un lavoratore in tutti i casi di modifica degli assetti organizzativi dell’azienda. Un’autostrada spianata verso il demansionamento unilaterale.

Non minore è l’attesa per il decreto sulla revisione della tipologia dei contratti. In termini di “collaborazione“, al fine di contenerne l’abuso, si definisce, per converso, il concetto di lavoro subordinato ( prestazione reiterata prestata in orario definito dal committente ed eseguita in base ad ordini gerarchici ). Con il 1° gennaio 2016 verranno pressoché cancellate le collaborazioni a progetto; sopravvivranno, si spera, solo le autentiche collaborazioni autonome e le vere partite Iva, mentre le altre forme di collaborazione che dissimulano rapporti di vera e propria subordinazione dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, essere attratte dai contratti a tutele crescenti.

Una riforma sostanziale ed organica del mondo del lavoro è senza dubbio necessaria per questo paese che ha assoluto bisogno di lasciarsi alle spalle decenni di precariato e di forte instabilità sociale, di squilibri e sperequazioni tra categorie di lavoratori, di ritrovare una domanda interna solida, diffusa ed omogenea tra le classi sociali e le aree geografiche. Ciò impone di accostarsi laicamente e senza preconcetti ideologici alle novità normative in via di introduzione. Il Jobs Act contiene certamente elementi di grande interesse e di discontinuità rispetto al passato molti dei quali, si pensi ad esempio alle tutele previste per le lavoratrici madri, debbono essere certamente accolti con grande favore così come ogni altro provvedimento che, nei fatti e stabilmente, favorisca occupazione e diritti connessi. Ogni giudizio, per il momento, deve essere quindi necessariamente rinviato almeno sino a quando non sarà completato il quadro normativo attuativo di riferimento. La fiducia e le aspettative nei confronti di questa riforma delle norme sul mondo del lavoro di cui parla il Ministro Padoan, non sono dunque solo quelle degli imprenditori, ma anche, a buon titolo, quelle dei lavoratori impiegati e di quelli che non lo sono più, sono quelle di chi nel mondo del lavoro non ci è ancora entrato e, per il momento, dispera di farlo, di ogni madre e padre che teme per il futuro dei propri figli. Per queste ragioni, davvero si auspica che il Governo non sia sordo alle richieste che giungono da molte parti sociali e, al contrario, si apra ad un dialogo più costruttivo sia con le opposizioni che con le molte anime delle forze politiche che pure lo sostengono in Parlamento. Il giudizio per ora rinviato sulle norme volute con determinazione dal Governo Renzi potrà essere positivo solo quando, nei fatti, avrà dimostrato di tener conto anche di queste sacrosante aspettative.

di  Marco Bartolomei

foto: newerahrm.it

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