Il calcio italiano è malato: forse si

Ho aspettato che si concludesse il primo turno delle competizioni europee per poter iniziare a collaborare con questa testata. Le squadre italiane che hanno giocato il primo turno di Champions League e Europe league non hanno fatto una grandissima figura, né sotto il profilo dei risultati né sotto il profilo del gioco espresso. Il Milan, che nella gara inaugurale ha fatto un gol al Barcellona, campione del mondo, al primo minuto di giuoco, dopo un’intera gara passata a fare le barricate contro lo strapotere della squadra spagnola, ed un secondo all’ultimo minuto di gioco, ha subito per quasi 70’ una durissima lezione di calcio. Calcio vero fatto di circolazione di palla veloce, dribbling e tiri in porta (22 in 90’), pressing e intensità, quel tipo di calcio che fa sognare chi ama questo sport.

Il calcio all’inizio del secolo scorso era uno sport vero, oggi è soprattutto uno spettacolo del quale si parla in ogni occasione. Il “cliente”/tifoso si esalta davanti al grande calcio, il calcio è uno spettacolo che vive sul gradimento dei clienti. I padroni del calcio non sono più i magnati che sperperano fortune famigliari o mandano aziende floride in crisi per essere il “presidente” di un club. Le società moderne oggi sono delle imprese autentiche: ci sono settori management, marketing, merchandising; alcune sono quotate in borsa, altre attirano l’interesse di capitali stranieri. Le società italiane devono completamente cambiare la loro filosofia ed organizzazione interna.

Ma cosa dovrebbe fare il calcio italiano per recuperare il gap che oggi esiste con Inghilterra, Spagna e Germania?

La prima cosa da fare è ridurre le società professionistiche nel nostro Paese: sarebbero sufficienti 20 squadre in serie A, 20 squadre in serie B, e 60 squadre di terza divisione divise su tre gironi. Fino a qualche mese fa erano più di 100….

Il secondo step è che le società abbiano uno stadio di proprietà, con tutti i confort che la nuova tecnologia può offrire. Uno stadio aperto alle famiglie che sia un sano punto di ritrovo e non un possibile campo di battaglia. Lo stadio sicuramente prevede un forte investimento iniziale (quello della Juventus è costato 120 milioni di euro) ma, se gestito con criterio può rappresentare una forma di guadagno importante, sia per la capitalizzazione dell’immobile che per tutte le attività che si possono svolgere oltre alle gare.

Il terzo aspetto è quello della cura del settore giovanile. Tutti oggi parlano del Barcellona perché produce talenti in continuazione per la sua prima squadra. Il Barcellona spende molto per la sua “cantera”, cifre che non sono neanche confrontabili con quelle che spendono le italiane. La Spagna non è un paese più ricco del nostro, ma probabilmente la Spagna ha dirigenti che hanno una visione più realistica dei nostri. Non è difficilissimo creare una cantera in Italia che produca giocatori di livello. Basta avere strutture e risorse economiche. Servono dei tecnici capaci (in Italia  nei settori giovanili non ce ne sono molti) che sappiano selezionare il giovane talento e lo facciano lavorare quotidianamente con una logica metodologica e scientifica, senza trascurare aspetti della formazione e dell’educazione del giovane. In Italia spesso i tecnici di settore giovanile professionistico sono ex calciatori che non hanno avuto nella loro vita grandissime frequentazioni con la scuola, che sanno poco di metodologia dell’allenamento, pedagogia e fisiologia ma soprattutto che stazionano nel settore giovanile sino a quando non trovano una squadra di adulti che è sicuramente più remunerativa. Ma il problema non è solo tecnico e gestionale. Il problema della crisi del calcio italiano è anche e soprattutto culturale. Il tifoso italiano medio vuole che la sua squadra vinca, non importa se gioca male, non importa se con l’imbroglio, l’importante è vincere. Questa logica condiziona un po’ tutti, condiziona la stampa, i dirigenti, gli operatori. Per fare il vero salto di qualità c’è bisogno anche di una cultura calcistica diversa e di una cultura del Paese diversa, ma questo argomento magari lo affronteremo in un altro articolo.

Enrico Fabbro

foto: consorzioparsifal.it

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