Candido e il migliore dei mondi possibili

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Voltaire comincia a scrivere Candido o l’ottimismo nel 1758, a 64 anni, alla conclusione di un decennio minato da persecuzioni personali e drammi umani. La crisi del rapporto con Federico II, l’allontanamento dalla Prussia, l’accusa di aver sottratto importanti manoscritti dell’imperatore; poi la guerra dei Sette Anni, e soprattutto il terremoto di Lisbona che nel 1755 distrugge la città, mietendo migliaia di vittime e rivelando a Voltaire quanto sia devastante la violenza cieca della natura e quanto a confronto sia fragile l’uomo. 

L’ottimismo filosofico

Tutte queste sventure alimentano il pessimismo dell’autore. Per Voltaire infatti la felicità su questa terra non è possibile e l’uomo non è il centro dell’universo, ma solo un effetto periferico di cause universali. Mettendo in primo piano la faccia crudele della natura, il filosofo demolisce la teoria di Leibniz per cui l’Universo nasce dalla suprema saggezza e bontà di Dio e dunque non può che essere il migliore fra tutti gli universi possibili. Tesi che in maniera del tutto ironica e paradossale viene messa in bocca al precettore di Candido, il bislacco Pangloss. 

Insegnante di metafisico-teologo-cosmoloscemologia, Pangloss afferma che «nel migliore dei mondi possibili, il castello di monsignor il barone era il più bello dei castelli e la signora la migliore delle baronesse possibili». E aggiunge che: «Le cose non possono essere altrimenti: poiché, tutto essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente fatto per il fine migliore». Come scrive Gianni Iotti nella prefazione all’edizione Einaudi del 2006 questa figura: «rovescia i rapporti tra mezzi e fini, cause ed effetti, e tratteggia la caricatura d’un mondo ad uso e consumo dell’uomo». Per Pangloss infatti i nasi sono stati creati per sorreggere gli occhiali e le pietre per essere tagliate e costruire castelli. Tutto esiste per concorrere a formare la miglior realtà possibile per l’uomo e anche gli eventi si concatenano per la stessa finalità.

L’esperienza fuori dall’Eden

Candido — giovane ingenuo che vive presso il castello westfaliano del barone di Thunder-ten-tronckh — crede a tutto quello che il precettore dice. Le cose cambiano quando il barone lo sorprende ad amoreggiare con la figlia Cunegonda e lo caccia. Questo imprevisto dà il via a un viaggio satirico e filosofico che metterà sempre più in crisi la teoria ottimistica di Pangloss. Se il castello rappresenta l’Eden, la cacciata rappresenta l’inizio della dura esperienza del mondo, e la conseguente scoperta del male. Nel viaggio di Candido infatti si susseguono tutta una serie di eventi sfortunati che portano il giovane a subire sulla propria pelle le violenze degli uomini e della natura.

Guerre, saccheggi, epidemie, terremoti, atteggiamenti ipocriti e opportunisti, crudeltà da parte dei potenti, inganni, ingiustizie e pregiudizi… Una vera tragedia filtrata da una visione grottesca del mondo che la rende più sostenibile, ma non la riscatta del tutto. Passo dopo passo Candido si ritrova sempre più disilluso. Alla fine si ripristina un equilibrio, ma niente torna come all’inizio. Cunegonda per esempio è diventata vecchia e brutta, e al posto dei grandi possedimenti del barone c’è solo un piccolo podere da mandare avanti con la fatica. Un lavoro che tuttavia non è punitivo come nel caso di Adamo e Eva; ma che anzi è il «solo modo di rendere la vita sopportabile» ora che la vita oziosa del castello-Eden si è rivelata un’opzione impraticabile.

Foto di jplenio da Pixabay

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