Utopia: la repubblica delle simmetrie

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«Se fossi stato con me a Utopia e avessi potuto osservarne i costumi e le leggi come ho fatto io […] non saresti tornato se non per raccontare di quel Paese. E avresti giurato di non aver mai visto gente meglio governata di quella» dice il viaggiatore Raffaele Itlodeo a Tommaso Moro dopo aver viaggiato per anni al fianco di Amerigo Vespucci. Siamo nella finzione letteraria di Utopia, una relazione di viaggio che mescola un po’ di realtà storica e molta invenzione.

Tommaso Moro scrive Utopia nel 1515 a Anversa e l’opera viene pubblicata l’anno successivo a Lovanio. In questo periodo hanno già cominciato a circolare le prime relazioni di viaggio degli esploratori del Nuovo Mondo. I luoghi selvaggi descritti nei resoconti solleticano l’immaginario degli intellettuali europei. Nella vaghezza di questo scenario la fantasia prolifera. Così nella sconosciuta America sorgono luoghi prodigiosi, creature leggendarie, e perché no? magari anche un’isola dove la società perfetta esiste. Ma siamo certi che quello sognato da Moro sia davvero il migliore dei mondi possibili?

La repubblica delle simmetrie

Le città della repubblica di Utopia sono tutte uguali. «Nell’isola ci sono cinquantaquattro grandi e belle città unite da un’unica lingua, dagli stessi costumi e dalle medesime leggi. Hanno tutte piani identici e struttura pressoché uguale, per quanto lo permette la natura del terreno su cui sorgono». Di tutte infatti, a Raffaele basta descrivere solo Amauroto, la capitale. Una città «quadrata» con la sua cinta muraria, due fiumi muniti di un ponte che collega le due rive, due file di case tutte uguali che si estendono ininterrottamente ai due lati della strada, due ingressi per casa, due battenti per porta.

Amaruoto si presenta come una città composta, razionale, estremamente simmetrica, speculare come il corpo dell’uomo. Un insieme di di linee rette e ordinate, abitato da persone con un’etica ben precisa che consente il mantenimento di un ordine sociale rigido e immutabile. L’unità fondamentale su cui si regge la società di Utopia è la famiglia, che ha una tipica struttura patriarcale. «Il più anziano è il capofamiglia, le mogli servono i mariti, i figli i genitori e, in generale, i giovani obbediscono ai più vecchi». Non esistono soldi né proprietà privata, pertanto tutti lavorano per collaborare al sostentamento dell’intera città, ognuno prende ciò di cui ha bisogno senza pagare e «ogni dieci anni gli abitanti si scambiano le case tirando a sorte».

La legge e la punizione

Esiste una classe dirigente, ma i rappresentanti del popolo vengono eletti con la massima democraticità: «Tutti gli anni un gruppo di trenta famiglie elegge un magistrato […] chiamato filarca. Dieci filarchi con le loro trecento famiglie sono soggetti a un magistrato […] che oggi chiamano protofilarca». Il protofilarca viene scelto tra quattro candidati indicati dal popolo, ognuno dei quali scelto in una delle quattro zone in cui è divisa la città. Trenta, dieci, quattro… Ancora numeri pari, ancora quella parità che è sinonimo di equità.

L’equità dev’essere la caratteristica fondamentale di quell’uno — unico numero dispari oltre al tre contemplato nella repubblica di Utopia — che sta al vertice della democrazia. Se un protofilarca cospira contro la repubblica la pena è la morte. L’iniquità e l’immoralità sono le colpe punite più duramente a Utopia. Nel capitolo intitolato Gli schiavi Moro scrive: «Un uomo e una donna scoperti in segreta libidine prima del matrimonio sono puniti severamente e a entrambi si vieta per sempre il matrimonio, […]. Ma sia il padre sia la madre della famiglia nella cui casa è avvenuto lo scandalo, essendo stati poco diligenti […], sono esposti alla pubblica disapprovazione».

Un’utopia in obsolescenza 

Provvedimenti del genere potevano avere senso nella cultura moralistica e maschilista del Cinquecento, oggi li troviamo folli, ci indignano. E che dire della legge che regola quanti figli ogni famiglia deve avere? Del fatto che se un figlio decide di non fare il mestiere di famiglia deve trasferirsi nella famiglia che tradizionalmente svolge la mansione desiderata? Questo dimostra che anche se l’uomo ambisce alla perfezione, non riesce a immaginarla se non vincolata al tempo e al contesto sociale di appartenenza. E più cerca di scavare nei dettagli più il paradiso sognato diventa simile alla realtà, corruttibile e soggetto a essere soppiantato da utopie più moderne. 

Nel mondo perfetto di Moro ad esempio non esistono i ricchi e i poveri. Tutti hanno ciò di cui hanno bisogno e hanno una giornata in cui lavoro, ozio e riposo sono bilanciati. Bene, ma d’altra parte in questa comunità tutti fanno le stesse cose, tutti hanno le stesse abitudini, gli stessi comportamenti, gli stessi sentimenti. Sembrano fattori identici di un grande calcolo matematico che serve a conservare una società con regole indiscutibili. Si procede per categorie e non esistono né eccezioni, né imprevisti, né tantomeno individui con la propria personalità.

Foto di JCK5D da Pixabay

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