UK fuori UE. La vittoria del Brexit

brexitUn risultato nuovo ed incerto da annoverare nelle pagine di storia quello di ieri, che conferma l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, a seguito del referendum Brexit.

I cittadini inglesi sono stati chiamati a scegliere fra il Remain (rimanere) e il Leave (uscire), che ha ottenuto, quest’ultimo, il 51,9% degli elettori britannici (17.410.742 milioni di voti) , contro il 48,1% a favore del Remain. Il distacco tra i due schieramenti è stato di oltre un milione di voti. Uno scenario nuovo per la Gran Bretagna, che questa mattina ha visto la moneta della Regina affondare di oltre il 10%, scendendo a quota 1,33 dollari, il peggior risultato dal 1985 a oggi.

Il Regno Unito è entrato nell’Unione Europea nel 1973, sotto la guida del primo ministro laburista Callaghan, che riuscì a negoziare l’entrata solo dopo le dimissioni di De Gaulle in Francia. Durante tutti gli anni ’60, infatti, il primo ministro francese si oppose con forza all’entrata del Regno Unito nella Comunità Europea. Secondo lui il Regno Unito, così vicino agli Stati Uniti, non avrebbe permesso lo sviluppo della sua “Europa delle nazioni”. Del resto la relazione del Regno Unito con la CE è sempre stata contraddittoria. Nel 1975 si fece il primo referendum per decidere se rimanere o meno nella CE, e allora si decise di rimanere. Ma essa per i governi inglesi non è mai stata nulla di più che il Mercato Unico e così viene definita ancora oggi.

«I want my money back», così negli anni ’80 Thatcher rinegoziò il budget del Regno Unito, ottenendo una sostanziale riduzione del contributo britannico alla CE. La lady di ferro aveva un’idea chiara dell’Europa: un mercato liberalizzato dei capitali, dove lasciar competere i nuovi attori della nascente economia neoliberale.

Il premier britannico, David Cameron, in una dichiarazione da Downing Street, dice: “Penso che il Paese abbia bisogno di un nuovo leader. Il nuovo primo ministro sarà eletto in ottobre, al congresso del Partito conservatore. Sarà il nuovo primo ministro a condurre i negoziati per l’uscita dall’Unione Europea”.  Ai sensi dell’articolo 50 del trattato sull’Unione europea, uno Stato membro può notificare al Consiglio europeo la sua intenzione di separarsi dall’Unione e un accordo di ritiro sarà negoziato tra l’Unione europea e lo Stato. I trattati cessano di essere applicabili a tale Stato a partire dalla data del contratto o, in mancanza, entro due anni dalla notifica, a meno che lo Stato e il Consiglio europeo siano d’accordo nel prorogare tale termine. L’accordo è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio e stabilisce le modalità per l’uscita, tra cui un quadro di riferimento per future relazioni dello Stato interessato con l’Unione.

Occorre anche sottolineare che la Gran Bretagna non ha mai aderito alla UEM, Unione economica e monetaria dell’Unione Europea, rimanendo fedele alla sua sterlina. Le conseguenze della Brexit saranno di carattere sia politico internazionale che economico. L’uscita della Gran Bretagna, in un contesto europeo lacerato dai flussi migratori e dagli attentati ultimi francesi, è un segnale a cui dar peso, così come potrebbe prefigurarsi una emulazione di altri Stati membri. Il problema dei leader europei rimane sempre l’economia.

La UE ha perso la sua missione iniziale, ovvero quella di convergere più interessi nazionali. Oggi vi è un isolamento degli Stati, causato anche da leader che non hanno la visione nel medio lungo periodo. La politica europea richiederebbe, per un nuovo possibile rilancio delle difficoltà interne ed esterne, nuovi trattati  e nuovi criteri di leadership. La forza della UE non deve essere più la costante ricerca della governance, che ha partorito crisi nazionali e mancati interventi di ordine politico ed economico, ma dovrebbe basarsi su un nuovo modello politico che possa aprirsi anche al vicino Medio Oriente, con opportunità di crescita e di collaborazioni. Lo stesso ruolo della Russia dovrebbe essere rivisto, anche perchè appena verrà rieletto il 45º Presidente degli Stati Uniti, molte scelte dovranno cambiare sul fronte internazionale e su quello diplomatico. L’urgenza europea deve, e non dovrebbe, essere quella di riportare governi stabili in tutti quei paesi che ora vivono conflitti interni, e che creano flussi migratori e circolazione di capitali illegali in tutto il continente. La politica europea dovrebbe offrire soluzioni nuove. Le necessità sono altre in questo momento, e l’uscita della Gran Bretagna sarà, anzi, deve essere un modo per riaffermare nuove strategie politiche, sociali ed economiche. Le primarie necessità andrebbero rinegoziate per ciascun Paese, e non rimanere uniti nelle tragedie e disgiunti nella spartizione di opportunità di crescita.

Un parallelismo, in riferimento alla presa in carico delle necessità, sorge spontaneo con il referendum italiano sulla costituzione. Ma in questo momento storico è davvero importante discutere sulla riforma costituzionale data la necessità di dare posti di lavoro, di dare cure mediche a più di 7 milioni di persone, e ad incentivare le imprese a non lasciare il Paese. Ridiscutere i piani per azionare fatti.

La Gran Bretagna saluta la UE con entusiasmo, ma la UE dovrà valutare seriamente cosa rinegoziare per il proprio-Nostro futuro.

di Giovanni Sacchitelli

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