Sentenza Mori: Agende Rosse e Luigi Furitano si pronunciano sulla sentenza

mori-marioIl Generale Mario Mori e il Colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento mafioso per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 (il boss era nascosto in una masseria di Mezzojuso), sono stati assolti, “perché il fatto non sussiste ” (ccp 530).

La sentenza ha tuttavia suscitato accese reazioni da parte delle “Agende Rosse” di Salvatore Borsellino, del Presidente del “Centro Studi Paolo Giaccone”, del dott. Luigi Furitano e del Procuratore Aggiunto di Palermo Teresi, che si sono lamentati per l’incompetenza dei giudici e la loro scarsa conoscenza dei fatti contestati.

Tra le frasi che hanno suscitato più indignazione, una su tutte è quella in cui si precisa che il nesso trattativa-strage di via D’Amelio “è frutto di mera ipotesi che potrebbe essere plausibile, ma non trova supporto probatorio in nessun sicuro elemento”. E poi ancora quella in cui si nega che vi sia stata un’“accelerazione” che portò Cosa Nostra a uccidere Borsellino 57 giorni dopo Falcone.

Secondo i “contestatori” “l’accelerazione” è stata accertata nella sentenza definitiva del Borsellino-ter, mentre sulla “trattativa-morte Borsellino” si cerca di far chiarezza in altri processi.

Cerchiamo di ricostruire i fatti processuali:

Nella sentenza “Borsellino Bis”, del 13 febbraio 1999, la magistratura aveva collegato in via definitiva l’attentato a Borsellino, come conseguenza del “dialogo” aperto dai carabinieri del Ros Giuseppe De Donno e Mario Mori con i vertici di Cosa Nostra attraverso Vito Ciancimino.

Il pentito Giovanni Brusca aveva poi raccontato che la decisione di pianificare l’attentato a Borsellino aveva subito una brusca accelerazione da parte di Cosa Nostra, perché rappresentava, in quel momento, un ostacolo alla trattativa tra alcuni pezzi delle istituzioni e l’associazione mafiosa.

Per la strage furono condannati gli esecutori materiali ed i mandanti tra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Nené Geraci, Pietro Aglieri, Nitto Santapaola e i fratelli Graviano.

Eppure si crearono dei coni d’ombra non indifferenti sulle entità esterne all’associazione mafiosa – come si legge sulla sentenza d’appello Borsellino bis, cap V “interessate a condizionare i moventi e i ragionamenti dei malavitosi e\o in certe circostanze a svolgere una vera e propria opera di induzione al delitto”.

L’esistenza di questa trattativa fu confermata nella sentenza di primo grado del processo a Francesco Tagliavia per le bombe del ’92 e ’93, secondo cui l’iniziativa “fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”.

Fin qui, ciò che è accaduto nel corso di 21 anni di processi interminabili e velenose accuse che non accennano a placarsi.

Di seguito proviamo a fare il punto cosa è accaduto due giorni fa.

Precisiamo innanzitutto che per la Strage di Via D’Amelio è competente la magistratura di Caltanissetta e che il Tribunale di Palermo ha esaminato questa vicenda solo per accertare i perché della mancata cattura di Provenzano.

Dopo questa puntualizzazione viene da chiedersi: Quali siano i “vulnus” che hanno causato malumori generalizzati nei confronti dei pm?

La risposta, secondo chi contesta, sembrerebbe semplice! Sebbene il materiale a disposizione dei giudici non scarseggiasse, su 1300 pagine ne sono state prese in considerazione appena 845 relative ad argomenti che sfioravano appena la mancata cattura del boss. Così invece di analizzare le prove e ascoltare i testimoni “chiave”, i pm hanno preferito dedicarsi ai motivi del delitto.

A dire il vero, desta qualche ragionevole sospetto il fatto che, quando le vicende coinvolgono politici ed istituzioni in genere, le prove non vengano giudicate sufficienti.

Ma a lasciare definitivamente basiti i “contestatori” è stato il passo in cui i giudici scrivono che evitare di catturare Provenzano, dopo aver evitato di perquisire il covo di Riina fu una “scelta operativa discutibile”, in cui “non mancano aspetti opachi”.

Che significa?
Tradotto in termini spiccioli significa che, invece di insistere sulla questione, i giudici hanno lasciato cadere il tutto perché, a loro dire, la “condotta attendista” di Mori e Obinu, di per sé sufficiente a dimostrare  “in termini oggettivi” il favoreggiamento a Cosa Nostra, non prova che “le scelte operative in questione, giuste o errate, siano state dettate dalla deliberata volontà degli imputati di salvaguardare la latitanza di Bernardo Provenzano o di ostacolarne la cattura”.

Intanto fuori dall’aula impazzava il coro delle Agende Rosse: “Vergogna” è ciò che hanno gridato gli attivisti, dopo aver appreso l’esito del processo presieduto da Mario Fontana, (presidente della IV sezione del Tribunale) e dai giudici a latere Wilma Mazzara e Annalisa Tesoriere.

“Siamo indignati! questo processo è la dimostrazione che lo Stato non processa se stesso. Speravamo che potesse accadere, ma anche stavolta non è accaduto”.  “Vergogna, leggete le carte. Conoscendo le carte – aggiungono – speravamo in un risultato diverso ma sapendo i sistemi di potere che ci sono dietro ce lo potevamo aspettare. Noi continueremo a lottare per la verità”.

A polemizzare è anche il presidente del Centro Studi Paolo Giaccone, Luigi Furitano, che ha rilasciato inoltre delle pesanti dichiarazione circa alcuni commenti inappropriati della Corte, che si riferiscono alla vedova di Paolo Borsellino, deceduta il 5 maggio di quest’anno: ” Anche io non posso non prendere in considerazione e accettare la sentenza espressa dal collegio presieduto dal giudice Fontana, ma non per questo intendo non lamentare le definizioni applicate in sentenza nei confronti della signora Agnese Borsellino. Purtroppo a questa Corte evidentemente è venuta meno la conoscenza personale della signora Piraino, che mai per connotazione ed eleganza caratteriale e ideale, avrebbe espresso preclusioni verso una qualsiasi Forza dell’ordine”.

Insomma, dopo 21 anni sembra che i due processi più importanti: il Borsellino quater, in corso a Caltanissetta, e il processo sulla trattativa Stato-mafia che si celebra a Palermo, non si possano chiudere in maniera  chiara ma, soprattutto, giusta.

di Simona Mazza

foto: si24.it

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