Moda. Romagna Mia di Federico Cina: un ritorno che alza i livelli di serotonina

“Ho provato a raccontare la storia d’amore tra due ragazzi, Laura e Marco, protagonisti di una città di provincia degli anni novanta. La loro storia è quella dei miei genitori, di una qualsiasi lunga storia d’amore, delle mie origini intellettuali ed emotive. Così, ho creato due Totem, a cui ho fatto indossare i tailleur di mia madre e i cappotti di mio padre. Ho arricchito le loro silhouette con i drappeggi tipici delle rappresentazioni di Plauto, commediografo romano nato a Sarsina, dove sono nato e vivo”. Parole piene di libertà, gratitudine e sentimento, quelle di Federico Cina. Il giovane designer romagnolo che, dopo gli studi al Polimoda di Firenze, il lancio del suo eponimo brand (2016), e una serie di viaggi e riconoscimenti intorno al mondo, decide finalmente di tornare a casa, a Sarsina, piccolo comune con poco più di tremila abitanti. 

Un ritorno che ispira il debutto di Romagna Mia 

Un ritorno, che come il canto di una musa, quasi sussurra all’orecchio e al cuore del designer l’ispirazione. Ispirazione che a sua volta si traveste da dedica, dietro un grazie che, già dal comunicato stampa, appare scritto in stampatello; e nell’aria, bellamente stracolmo di gioia, ad AltaRoma, sottende il debutto di Romagna Mia, una collezione celebrativa d’amore. 

Oltre a raccontare la storia dei genitori, la linea A/I 2019-20 è un piacevole omaggio alla sua terra d’origine. Humus del suo fare artigianale, che non può prescindere dalla formazione da designer, e da quelle improvvise esperienze all’estero. Prezioso affinamento di una visione attuale, contemporanea, e assolutamente non convenzionale. Un sapore italiano, cantato a suon di abiti e parole, dove tradizione e dettagli sartoriali, in un freddo mattino d’inverno, magicamente riempiono di calore lo spazio espositivo del Pratibus District, con la versione originale di Romagna Mia (Secondo Casadei, 1954), dolce e inebriante soundtrack di tutto lo show.

Tradizione e innovazione per la sfilata co-ed di Federico Cina

In una perfetta combinazione, sospesa tra passato e presente, si racchiude la fresca cifra stilistica di Federico Cina. La Romagna, il folklore, lo spirito più confortevole del nostro Bel Paese, tutto è richiamato con un piacevole senso di rispetto, verso un tempo che non c’è più, e guardando al futuro, ben si mescola a linearità e stratificazioni moderne. 

Una presentazione co-ed, dove la differenza di genere è volutamente destrutturata. Gonne a portafoglio con cintura a sacco, tailleur over con giacche redingote, sahariane e lunghi chemisier. Pezzi stilizzati, indossati indistintamente da un uomo o da una donna. Cosa importa, e soprattutto a chi.

Una cerimonia fashion e la palette cromatica segue la visione del brand 

Una cerimonia fashion, dove gli abiti sembrano in fase di progettazione, appuntati e pronti a ricordare le sperimentazioni, che il designer fa all’inizio con i Totem. L’attenzione ai dettagli è però fulminea: segue una precisione che fa strizzare gli occhi, e la folle idea d’incompiuto è solo parvenza, mentre metri di tulle vaporosi, incartano i modelli, confettando l’idea originale, estasiata di celebrazione. La palette cromatica dipinge quella cifra stilistica retro contemporanea del brand. Le spighe di grano da gialle diventano bluette, e il tartan in una versione optical, spesso sembra gingham. Pattern alla luce di nuovi aspetti e all over, si alternano a sfumature più accese, che a loro volta sottolineano le silhouette, richiamando la vestibilità dei tessuti tecnici. Dai toni più caldi – arancio, mattone, cammello – a quelli più freddi – lilla, azzurro, carta da zucchero -, nuance tutte orchestrate in un color blocking netto, anche per l’uso del nero e del bianco ottico. 

Le proposte sono street. La vestibilità over spesso è sovrapposta, con stivaletti bianchi e galoche che fanno capolino da pantaloni e abiti lunghi fino a terra. Il daywear targato Cina, appare lievemente agée e segue così un savoir-faire sofisticato; quasi ricordando un lontano passato, e gli animi spensierati di un secondo dopoguerra inoltrato, alza i livelli di serotonina, catapultando la mente in un patriottico stato di gioia.

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