Michelangelo Buonarroti: bellezza e morte scolpite nelle parole

L’abilità cresce con l’esperienza. Un concetto apparentemente scontato che se affrontato nella chiave giusta può sfociare in una riflessione sulla vita, sulla morte, su Dio. Servono parole incisive come scalpelli che sappiano modellare una realtà dura come il marmo. A pronunciarle è Michelangelo Buonarroti, che alla soglia dei settant’anni si trova schiacciato tra la bellezza conquistata con l’esperienza e l’inevitabile approssimarsi della fine dell’esistenza.

Negli anni molti e nelle molte pruove

Tanta fatica per raggiungere una perfezione di cui poi si riesce a godere solo per poco: è questo il tema principale di Negli anni molti e nelle molte pruove. È una delle poesie scritte da Buonarroti tra il 1502 e il 1560 e pubblicate postume nel 1623. Forse non tutti lo sanno, ma l’arte poetica ha accompagnato l’artista per quasi tutta la vita.

Un secondo mezzo di espressione alla luce del quale possiamo comprendere ancora meglio l’enorme sensibilità che contraddistingue i suoi dipinti e le sue sculture. Sia la poesia che l’arte  figurativa michelangiolesca affondano nella cultura neoplatonica che si respirava alla fine del Quattrocento alla corte dei medici. Lì ospite illustre fu anche Marsilio Ficino, fondatore dell’Accademia neoplatonica che ebbe sede alla villa di Careggi. 

L’Amore neoplatonico

Secondo la tradizione ficiniana l’ordine della realtà si suddivide in cinque essenze. Tra queste c’è Dio, la fonte primigenia di tutte le cose. Un’altra è la forma delle sostanze materiali. Un’altra ancora è l’anima, prodotto originale e divino che pur essendo indipendente dal corpo è prigioniero di esso. Un’entità che cresce in splendore in una gabbia di carne che invecchia. Sempre più luminosa man mano che si riavvicina alla fonte da cui è scaturita, sempre più consapevole man mano che si lascia trascinare dalla tendenza inesorabile che chiamiamo Amore.

Amore per la bellezza intesa nel suo senso più alto, un sentimento estremo che può essere appagato solo nel momento altrettanto estremo della fine. «Similmente natura, di tempo in tempo, d’uno in altro volto, s’al sommo errando, di bellezza è giunta nel tuo divino, è vecchia e de’ perire». Versi amari che hanno il sapore di un bilancio esistenziale, e che contengono una domanda senza soluzione.  Cos’è più grande in fin dei conti: «‘l dolore per ‘l fin dell’universo» o «‘l gran diletto della bellezza»?

La sensualità e il tormento

Michelangelo non può darsi una risposta, forse perché in fondo sa che l’uno non non ha senso senza l’altro. A cosa servirebbe cercare la perfezione nell’arte se la realtà non fosse imperfetta e deperibile? Che senso avrebbe eternizzare nel marmo l’armonia dei corpi se questa non venisse insidiata dalla disarmonia della vecchiaia e della morte? Ma d’altronde Michelangelo è sempre stato un uomo segnato dal dissidio: attrazione sensuale per la materia da una parte e aspirazione alla purezza assoluta dello spirito dall’altra. 

Dice Thomas Mann in L’eros di Michelangelo: «Da cosa deriva la costante malinconia di un creatore cui il cielo ha concesso una sovrumana potenza artistica? Credo che la chiave di questo mistero sia una sensualità  straordinaria e opprimente, che insieme, però, anela di continuo alla purezza, allo spirito, al divino, e interpreta sempre se stessa come un’aspirazione trascendente […] il desiderio che lo spinge è l’amore, un innamoramento senza fine, lungo quanto la sua vita, volto alla figura umana, alla bellezza vivente, al fascino che emana dall’uomo: una disposizione al beato tormento di essa».

Tormento, è questa la parola che più di ogni altra definisce l’arte di Michelangelo. Il tormento di voler portare il cielo in terra e di innalzare ciò che è terreno fino al cielo.  La bellezza assoluta è l’obiettivo, la ricerca pilotata dalla volontà di afferrarla è il sale della  vita e di conseguenza dell’arte di Buonarroti. E allora ecco il valore della riflessione di Negli anni molti e nelle molte pruove, ecco l’importanza di quegli anni e di quelle pruove, il dramma di una bellezza raggiunta ma non godibile, ma anche il compimento di una tensione continua che se realizzata può essere solo una porta per una vita nuova.

Fonte foto: sentieriselvaggi.it

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