L’uomo e il vampiro: diversità radicale o profonda somiglianza?

vampiro

«Siamo in Transilvania. E la Transilvania non è l’Inghilterra. Le nostre costumanze non sono le vostre, e molte cose potranno apparirvi fuori dal comune. Ordunque, da quanto m’avete già detto delle vostre esperienze, una idea di quali cose strane si tratti già ce l’avete.» Siamo tra le pagine di Dracula, il celebre romanzo gotico scritto da Bram Stoker nel 1896. A parlare è proprio il Conte Dracula, che rivolgendosi all’avvocato Jonathan Harker — giunto in Transilvania per curare il suo acquisto di un’abitazione a Londra —  si presenta come diverso da lui.

Una diversità apparentemente folkloristica che ne nasconde una più radicale. Quando Harker guarda lo specchio e scopre che l’immagine di Dracula non vi si riflette, si rende conto che la differenza tra lui e quello strano soggetto dal sapore anacronistico scavalca anche i limiti della logica. Si scontra con la constatazione che l’occulto esiste, e questo lo mette a disagio. Poi si rende conto che proprio lui sta aiutando l’essere mostruoso a trasferirsi a Londra (la sua città), e la prospettiva della contaminazione lo terrorizza. Da questo momento più che Dracula sarà il senso del pericolo che trasmette a fare da protagonista.

La presenza-assenza e la minaccia del diverso

Questa infatti è la storia di un personaggio molto presente pur essendo quasi sempre assente. Come nota Alessandro Baricco nel saggio inserito nel IV volume dell’opera Romanzo a cura di F.Moretti, il vampiro compare pochissimo di persona. Inoltre le apparizioni successive alla visita di Harker sono spesso in forme diverse da quella umana («un cane che scende da una nave, un pipistrello che sbatte contro un vetro, una nebbia che scivola sotto le porte»…). Il profilo di Dracula è disegnato dallo sguardo degli altri. Il vampiro non parla mai, non sappiamo cosa pensi e cosa senta. Sono sempre e solo le parole dei nemici e la loro mentalità a trasmettere la sua identità al lettore.

Molto più presenti sono Jonathan e Mina Harker, lo psichiatra John Seward, il professor Van Helsing, Arthur Holmwood e la fidanzata Lucy Westenra. Personaggi in carne e ossa che si muovono sulla scena riempiendola per quasi tutto il tempo, ma le cui azioni sono completamente influenzate dall’irrompere della minaccia del mostro nelle loro vite. Sono personaggi bidimensionali, pretendono di farsi esponenti di quella civiltà che si contrappone all’individualismo primitivo rappresentato dal vampiro. In realtà sono per lo più individui dalla mentalità ristretta che nel mostro trovano il riflesso della parte più inconfessabile di sé, hanno paura di ciò che potrebbero diventare se emergesse e si difendono. 

Il lato oscuro

Il vero oggetto del racconto dunque è il desiderio sessuale (rappresentato in modo assoluto da Dracula) che si annida in ogni uomo. Una forza irrazionale che minaccia il soggetto dall’interno e risveglia quella parte dell’io che la mentalità vittoriana si impegnava a soffocare in nome della rispettabilità. Dracula non è solo il diverso che dalla Transilvania viene a corrompere la gente di Londra, ma — come spiega Carol A. Senf nel suo saggio «Dracula»: The Unseen Face in the Mirror (1979) —  «è l’elemento che mette a nudo le paure sessuali più inconfessabili dei protagonisti». È pericolo e insieme tentazione.

Il mostro non attacca una vittima a caso, ma quella che in qualche modo ha acconsentito a diventare vittima. Van Helsing infatti afferma che «un vampiro non può entrare in una casa senza essere invitato da uno degli abitanti. In altri termini, un vampiro non può influenzare un essere umano senza il suo consenso». Lucy Westenra, per esempio, prima di diventare una vampira provava già insoddisfazione davanti alla necessità di dover scegliere uno solo tra tre pretendenti che volevano sposarla. Quell’insoddisfazione connessa al desiderio di violare le regole imposte (come la monogamia) bastano al vampiro per rubarle l’anima.

Diversità o somiglianza?

Di conseguenza possiamo dire che la tensione erotica di cui il vampiro è agente corrisponde a una stessa tensione già in essere nell’uomo. Possiamo rilevare la stessa specularità nell’uso della violenza di Dracula nei confronti degli umani e degli umani nei confronti di Dracula. Il comportamento del vampiro — ovvero la condotta violenta e irrazionale e la consuetudine a attaccare le vittime nel sonno — difatti è lo stesso che poi assumerà l’uomo comune contro di lui.

L’unica differenza è che la narrazione è tutta dal punto di vista dell’uomo comune, quindi le sue ragioni ci appaiono chiare, legittimate da una spiegazione precisa. Il comportamento di Dracula invece resta immotivato, pertanto viene automatico condannarlo. Dunque la domanda è: questa differenza tra Dracula e i suoi nemici è davvero così radicale oppure le due entità sono molto più simili di quanto sembri?

Foto di Enrique Meseguer da Pixabay

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