La verità scientifica ha bisogno di tempo

Come mai in questi tempi difficili, in cui ci rivolgiamo agli scienziati per avere speranze e rassicurazioni, riguardo le malattie, in particolare la COVID-19, la sua trasmissione, l’efficacia delle cure, la sicurezza dei vaccini, la durata dell’immunità, otteniamo risposte così discordi fra loro? Perché personaggi più o meno noti, con curricula nobilissimi, hanno opinioni così diverse? Ma la scienza non dovrebbe dare risposte certe ed univoche? Due più due non fa quattro per tutti?

Cerchiamo di fare chiarezza, senza scomodare la teoria della relatività o la fisica quantistica. Da dove vengono le informazioni che cerchiamo? Vengono dalla ricerca biomedica. E come funziona la ricerca biomedica? 

La ricerca è sperimentazione: vuol dire fare un’ipotesi e testarla nella realtà (la sperimentazione), raccogliere i risultati e interpretarli per capire se l’ipotesi è corretta. Fare tutto questo nel campo della biochimica, biologia e soprattutto della medicina può essere un percorso ad ostacoli.

Visto che non si può fare sperimentazione sugli esseri umani, gli effetti più gravi di un trattamento devono essere verificati sugli animali. Se vogliamo conoscere l’effetto di un farmaco su un animale da laboratorio, ad esempio la variazione di peso di un organo in un ratto, e per questo dobbiamo sacrificare l’animale, per conoscere il peso dell’organo prima del trattamento dovremo affidarci alla statistica, non potendo sacrificare due volte lo stesso ratto.

Studiare l’efficacia di un farmaco sull’uomo significa somministrarlo a molti pazienti, e somministrare ad altrettanti un finto farmaco “il placebo”, perché la psiche umana è così potente che il solo fatto di pensare di assumere un farmaco può far migliorare il paziente. Fare questo in una situazione di emergenza richiede scelte difficili; a chi dare il farmaco e a chi dare il placebo? O meglio, sperimentare in parallelo due farmaci diversi e non considerare l’effetto placebo? 

I risultati degli esperimenti spesso non sono concordanti. Ancora una volta dobbiamo affidarci alla statistica, analizzando più esperimenti e considerando validi i risultati che vengono ottenuti con più frequenza. E più esperimenti si fanno, più la statistica si avvicina alla verità. Ma ci vogliono più tempo, più pazienti, più finanziamenti.

La IARC, ad esempio, – Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro – classifica la cancerogenicità delle sostanze esaminando gli studi pubblicati dai ricercatori di tutto il mondo. Le classificazioni prevedono definizioni come cancerogeno sospetto, cancerogeno probabile, cancerogeno riconosciuto. Quando vengono pubblicati nuovi studi, la IARC fa una nuova analisi, e la classificazione può cambiare, per esempio passando da probabile a riconosciuto. Questo non vuol dire che prima gli esperti della IARC si fossero sbagliati, ma solo che i dati a loro disposizione non erano sufficienti per una risposta definitiva.

COVID-19 era una malattia sconosciuta fino a meno di un anno fa. Solo la cooperazione fra i ricercatori di tutto il mondo ha reso possibile avere in tempi brevissimi i test per diagnosticarla, le cure e presto anche i vaccini. Ma ci sono aspetti che, semplicemente, ancora non sono accertati perché le informazioni a disposizione non sono sufficienti. Perché non ce n’è stato il tempo. Perché i medici erano occupati a curare ed i biologi a fare test. Quando gli scienziati pubblicano i risultati di un loro esperimento, quindi, dicono la verità. Ma la verità scientifica è soggetta a modifiche per divenire certezza e non c’è che essere pazienti: la ricerca funziona così.

*Biochimico, direttore del  Laboratorio Rischio Agenti Chimici dell’INAIL 

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