Intervista esclusiva a Oliviero Diliberto: il professore, il giurista, il politico, l’uomo di cultura

dilibertoIntervistiamo oggi Oliviero Diliberto: docente, giurista politico, ma soprattutto uomo dalla cultura robusta. Diliberto rappresenta la perfetta amalgama d’intelletto non astratto, geniale irriverenza e cortesia estrema. Un’autentica sorgente d’acqua viva che ama donare “il sapere ” al prossimo senza riserva alcuna.

Ha militato nel Partito Comunista Italiano e nel Partito della Rifondazione Comunista, è stato ministro di Grazia e Giustizia dei due Governi D’Alema. E’ passato nel 1998 al Pdci (Partito dei Comunisti Italiani), sostituendo nel 2000 Armando Cossutta alla segreteria nazionale del partito, fino al 25 febbraio 2013 

Chi è Oliviero Diliberto nella vita di ogni giorno e soprattutto lontano dagli scranni del potere?

–         Una persona serena: uguale a quella di prima, che tu definisci come vicina agli “scranni del potere” (ma noi ne abbiamo avuto sempre pochino…), che fa una vita normalissima. Prima ed ora. Adesso, però, con minori preoccupazioni, quindi ancor più serena.

Oltre ai sigari toscani e i western di Leone cosa la intriga?

–         Quasi tutto, in verità. Mi considero una persona curiosa del mondo. Se elencassi tutto ciò che mi intriga, non finiremmo più. Diciamo che se dovessi dirne solo una, in generale, direi il sapere, la conoscenza, la cultura e le culture.

Lei è un grande appassionato della Cina, tanto che da 10 anni sta aiutando la patria di Mao a scrivere il codice civile. Che cosa dovremmo “copiare” noi dal paese che, per antonomasia, copia gli altri?

–         E’ vero, mi sono innamorato, per così dire, della Repubblica Popolare Cinese. Potrei dire che anche i cinesi, come noi occidentali – eredi della grande storia di Atene e di Roma, hanno una storia e una cultura millenaria. Ma ciò che vorrei – almeno un po’ – noi riuscissimo a condividere con la Cina è avere il senso di essere popolo, di far parte di una collettività prima che essere individui. Avere il senso di una missione collettiva e non solo personale, egoistica.

Potrebbe spiegare nel dettaglio in che modo si sta riscrivendo il codice, anche perché c’è chi pensa si tratti solo di mera propaganda.

–         Per quanto riguarda il codice civile, io offro, insieme ad altri colleghi di tutto il mondo, un supporto culturale: contribuiamo a formare i giovani laureati cinesi (in giurisprudenza), presso l’università di Roma, ove essi svolgono il dottorato di ricerca: e sono bravissimi! Studiano da noi perché in Cina si è scelto ufficialmente di adottare quale modello per il codice civile il diritto romano (come è in quasi tutto il mondo, tranne i Paesi anglosassoni). Hanno già promulgato, peraltro, gran parte del nuovo codice (è consultabile anche in lingua italiana): nel giro di qualche anno avranno terminato tutto.  

Le chiederei di illuminarci sul sistema economico della Cina comunista? Anche perché a tratti sembra contraddittorio?

 Mi spiego: sembra sia l’unico paese a non essere aggredito dagli Usa e accettare lo sfruttamento del lavoro con tutte le sue assurde imposizioni, come unica ricetta per un’economia vincente e fonte di sopravvivenza. Così mentre in Italia i comunisti fanno battaglie sindacali per la tutela dei lavoratori, in Cina, paese storicamente comunista, è naturale lavorare a qualsiasi età e comunque.  

Per quanto riguarda l’economia cinese, qui da noi girano le notizie più disparate, ma soprattutto c’è una gigantesca ignoranza. Certo, c’è l’economia di mercato, ma il 75 % delle proprietà sono statali, e la terra è dello Stato – proprio in virtù del nuovo codice – al 100%. E poi – circostanza decisiva – l’economia è di mercato, ma “pianificata”: nel 2011 ero a Pechino alla presentazione del dodicesimo piano quinquennale: è cioè lo Stato a predeterminare come e dove si deve sviluppare l’economia (e ne ha il controllo complessivo). Tra dieci anni la Cina sarà il Paese più sviluppato e ricco del pianeta. Gli Usa lo sanno bene: ed è incominciata, anni fa, la strategia dell’“assedio” soft nel Pacifico. Tutt’altro che idilliaco!

Mi risulta che lei sia un bibliofilo. Un libro può cambiare un uomo? E se sì, come?

–         Un libro non cambia un uomo, ma lo rende migliore, perché più conosci, più apri la mente, meglio stai insieme agli altri. Un solo esempio. Se si leggessero più libri, si acquisirebbe consapevolezza di quanto sia orribile il razzismo, si imparerebbe la convivenza tra diversi. L’ignoranza è sempre una delle cause delle peggiori scelte anche politiche e/o ideologiche. Per dirla con Goja, “il sonno della ragione genera mostri”.

E’ vero che possiede l’intera collezione della vecchia BUR (biblioteca Universale Rizzoli)?

–         Vero. 822 titoli. Ci ho messo una decina d’anni, girando per bancarelle e mercatini dell’usato. E’ uno spaccato straordinario della storia dell’editoria (e dunque della cultura) italiana dal dopoguerra sino alla fine degli anni ’60. Gli anni della mia crescita, dell’adolescenza, dell’apprendimento.

Per tornare al discorso cinema: qual è il suo film preferito e perché proprio non le piace il messaggio che lancia “La vita è bella” di Benigni?

–         Non ho “un” film preferito: ne ho a bizzeffe! Onnivoro anche in questo, lo confesso. Come scegliere un film tra tutta la meravigliosa produzione di Kubrick? O tra quella del neorealismo italiano da Ladri di biciclette in avanti? Quale preferire tra Pat Garrett e Billy the Kid o Il mucchio selvaggio (entrambi di Peckinpah)? E poi, quasi tutto Francis Ford Coppola (come si può vivere senza conoscere Apocalypse now? Ma anche la saga del Padrino non scherza), molto Brian De Palma (ad esempio Gli intoccabili), Il mistero del Falco con il mitico Humphrey Bogart, Casablanca (ancora con lui), tutto Sergio Leone, Zelig di Woody Allen, Mission di Roland Joffé, i noir francesi in bianco nero, Il gladiatore di Ridley Scott: ma sono certo di dimenticarne alcuni memorabili … L’amore per il cinema (come per l’arte figurativa o per la letteratura) non consente gerarchie o canoni. Non è tolemaico, ma drasticamente copernicano.

Per quanto riguarda La vita è bella, beh secondo me è un prodotto – non saprei come definirlo altrimenti – furbetto, per il mercato statunitense: tanto è vero che il campo di concentramento viene liberato dagli americani, mentre, come tutti sanno, furono i sovietici ad entrate per primi (e a liberare) i campi. Un falso storico deliberato. Ma così Benigni ha vinto l’Oscar… Molto più bello, sul medesimo tema, trattato in modo ironico, ma leggero, Train de vie un film del 1998 diretto da Radu Mihaileanu.

Qualche domanda politica… ma non troppo

Che cosa vuole dire oggi essere comunista?

–         Credere – banalmente – che gli esseri umani siano tutti uguali e che non dovrebbe esistere (e dunque val la pena lottare per cancellarlo) lo sfruttamento di uomini su altri uomini. E le condizioni terribili del mondo ci danno ragione. Povertà estrema per i ¾ dell’umanità, migrazioni di milioni di disgraziati verso il mondo ricco, carestie, epidemie bibliche (pensiamo all’Aids in Africa), guerre tribali o su base religiosa. Contrastare le ingiustizie del pianeta significa – secondo me, ed andando all’essenziale – essere comunisti.

Spesso il comunista crede di essere l’unico detentore del vero, eppure le assemblee pullulano di vecchi romantici che si dicono, “quanto siamo bravi”, per poi essere totalmente distanti dalla realtà del quotidiano. Le chiedo: si possono applicare i precetti comunisti in maniera moderna e concreta, senza correre il rischio di essere dei perenni nostalgici?

–         La nostalgia è pessima. Fa sembrare belle anche le cose brutte del passato. Invecchiando, poi, la cosa si accentua: e io purtroppo sto iniziando ad invecchiare. Ma sono fermamente convinto che potranno essere solo i più giovani tra noi a “reinventare” cosa significhi comunismo nel terzo millennio: le mie categorie sono inevitabilmente legate al passato. La mia generazione ha un solo obbligo: costruire le condizioni migliori affinché i giovani possano essere comunisti a modo loro, molto diversi da noi. Anche perché noi, che siamo stati sconfitti, dobbiamo prendere atto, con semplicità, che evidentemente le nostre ricette non hanno funzionato!

Chi è secondo lei, il più attuale uomo del passato (non necessariamente un politico)?

–         L’incarnazione della modernità sono Galileo Galilei e Leonardo da Vinci. Ma a me è sempre piaciuta la figura mitologica di Prometeo, che ruba agli dei il fuoco della conoscenza (e la paga a caro prezzo…).

Dittatura o democrazia? Quali sono i pro e i contro dei due sistemi?

–         Sempre democrazia, che vuol dire potere del popolo (il demos): non quindi necessariamente la democrazia occidentale, i suoi paradigmi e il suo funzionamento. Ma penso alla democrazia sostanziale, che non può mai essere disgiunta dall’eguaglianza sociale ed economica, se no è una mera finzione.

Qual è la differenza fra politica e antipolitica?

–         L’antipolitica è sempre di destra, antipopolare. Solo la politica consente alle classi subalterne di provare a contare qualcosa. Altrimenti, senza la politica, senza i partiti, comanda solo il denaro: è la legge della giungla, quella del più forte. Certo, la politica (e gli stessi partiti) dovrebbero avere la forza ed il coraggio di rimettersi in discussione, di cambiare profondamente, di adottare meccanismi di selezione dei gruppi dirigenti molto più democratici di quelli attuali. Ma senza la politica comanda l’economia: che è il sovvertimento della democrazia.

Una considerazione sintetica su Berlusconi e il ventennio berlusconiano, basta anche un aggettivo.

–         La corruzione del senso comune.

La voglio stuzzicare: C’è qualcosa che invidia al Cavaliere, non so un’iniziativa brillante, un suo aforisma o altro?

–         Per fortuna nulla. In questo mi sento davvero antropologicamente agli antipodi di Berlusconi, come immagino anche lui si senta agli antipodi rispetto a me. E io ne sono felice!

Quando si guarda allo specchio, si riconosce di più in Oliviero “Uomo politico “oppure Oliviero “professore”.

–         Non si possono scindere le persone. Non ci sono il dottor Jekyll e mister Hide in me: sono tutte e due le cose insieme, tanto è vero che appena ho potuto – cioè quando sono stato chiamato ad insegnare all’università di Roma – ho continuato ad insegnare (gratuitamente: è bene specificarlo) anche da parlamentare e da dirigente politico. Amo troppo entrambi gli aspetti per farne prevalere uno: certo, oggi, per ovvi motivi, sono più docente che politico, ma ritengo che far bene il proprio mestiere pedagogico rispetto ai giovani rappresenti anche un’essenziale funzione politica e civile.

Nella sua attività di docente, è sempre riuscito ad essere politicamente neutrale, oppure ha trasmesso in qualche modo i suoi ideali?

–         Ho trasmesso non la mia ideologia comunista (sarebbe stato profondamente sbagliato), bensì i miei ideali di studioso (e di uomo): la serietà e il piacere dell’apprendimento, il dialogo costante con i ragazzi, la voglia di migliorarsi.

 Lei è un vulcano d’idee: Prima è stato tra i fondatori dell’ISTOL (Istituto Italiano per la Storia della Legislazione), del quale è stato il primo segretario, poi, nel 2000 a Firenze, socio fondatore dell’“Accademia fiorentina di papirologia e di studi sul mondo antico”. Cosa si vuole promuovere attraverso questi istituti?

–         Come detto, essendo “onnivoro”, mi piace cimentarmi in molteplici attività culturali: tutte con l’obiettivo di promuovere la ricerca e gli studi non nel chiuso del proprio orticello individuale, ma insieme ad altri, collettivamente, condividendo il gusto del sapere e possibilmente allargandolo: a questo servono (o dovrebbero servire) le Accademie e gli Istituti di ricerca.

In tutto quello che ha fatto, ha messo sempre la faccia in maniera coraggiosa, quando altri personaggi si defilavano, tanto da meritarti l’appellativo di Dili-beria (per assonanza con il capo della polizia sovietica Lavrentij Berija). Mi vengono in mente le sue esternazioni senza peli sulla lingua e soprattutto la “maschia” partecipazione alle manifestazioni: in favore della Palestina, contro le basi Usa e in ultima analisi quella contro la Riforma Fornero, dove è stato immortalato accanto alla mamma di una sua alunna, che indossava una t-shirt su cui campeggiava la scritta “La Fornero al Cimitero”.Che messaggio vuole trasmettere all’opinione pubblica?

–         Non ho mai fatto alcunché per trasmettere messaggi, ma per cercare di essere coerente – anche quando si pagavano prezzi alti – con le mie idee: facendo così, si veicola anche un messaggio in realtà: che è quello di non accettare il senso comune, le idee altrui (che poi sono oggi, salvo rare eccezioni, quelle della classe dominante). Poi odio il “politicamente corretto”: anche perché quella correttezza è il più delle volte accondiscendenza verso chi comanda…

A cosa non può assolutamente rinunciare Oliviero Diliberto?

–         Ai miei affetti e ai miei libri

Inoltre la prego, sciolga l’arcano sulla scrivania di Togliatti. Come sono andati realmente i fatti e cosa ha provato nel sedersi al suo posto?

–         Intanto, ho provato un’emozione infinita. Non mi pareva vero: pensavo che da un momento all’altro entrasse una troupe televisiva che dicesse: “sei su scherzi a parte”. Per la scrivania, la storia è semplice, anche se intrigante. Quando smisi di fare il ministro, avendo vinto la destra le elezioni, e immaginando che avrebbero buttato (o peggio) la scrivania di Togliatti, chiesi ad un mio collaboratore del ministero di nasconderla nel luogo meno prevedibile, non una cantina o uno sgabuzzino. La misero nella stanza del magistrato inglese di collegamento con il Regno Unito: lui, ovviamente, non sapeva fosse quella di Togliatti! E lì è rimasta per anni, sino a quando la Severino, divenuta ministro, mi chiese di poterla riusare: era un bel gesto e le indicai dove andarla a prendere. Penso sia ancora nella stanza del ministro, ma ora che me lo hai chiesto, mi voglio informare…

–         Per finire, potrebbe darci qualche ragguaglio sul caso Silvia Baraldini, l’attivista del movimento rivoluzionario (Black Panther Party) che combatteva per i diritti civili dei neri. Sappiamo che Nel 1983 è stata condannata a una pena di 43 anni di carcere negli Stati Uniti per concorso in evasione, associazione sovversiva, due tentate rapine e ingiuria al tribunale. Dopo anni di pasticci diplomatici, lei è riuscito a farla tornare in Italia, ma anche il nostro Governo sembrava spaccato in due.

–         Praticamente tutti i governi italiani precedenti a quello del quale ho fatto parte avevano tentato di riportarla in Italia, sulla base di una convenzione internazionale che prevedeva che i cittadini di un Paese, condannati in un altro, potessero scontare la pena nel Paese di origine. Gli Usa per diciannove anni (vado a memoria, ma erano proprio tanti) avevano risposto picche. Gli americani non credevano che avremmo, noi italiani, rispettato la parola data e che – appena messo piede in Italia – la Baraldini sarebbe stata liberata. Ma c’era anche tanta incuria da parte dei nostri governi: un atteggiamento meramente burocratico, che non andava alla sostanza delle cose. Io, viceversa, aiutato – va riconosciuto lealmente – dall’ambasciatore Usa di allora, svolsi la trattativa direttamente e ottenni la liberazione: la Baraldini tornò in Italia nel 1999. Oggi è da anni libera, dopo aver scontato un periodo di detenzione in Italia (ma dopo poco agli arresti domiciliari, che è cosa ben diversa dal carcere!) – come da accordi –, ma avendo ottenuto finalmente lo sperato risultato. D’altro canto, in Italia sarebbe uscita dopo pochi anni: non aveva compiuto alcuno spargimento di sangue. L’ho incontrata una sera in una trattoria, da donna libera: fu una grande emozione per entrambi.

di Simona Mazza 

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