Intervista a Donatella Gimigliano, ideatrice di Women for “Women against violence – Camomilla Award”

intervista

Donatella Gimigliano, giornalista e affermata professionista della comunicazione, è presidente dell’Associazione Consorzio Umanitas e dell’Associazione IntegrArte Onlus. È anche autrice del soggetto di serie del film «Dottor Clown» (andato in onda su Canale 5 per la regia di Maurizio Nichetti) ed è coautrice, con Nino Gimigliano, del libro “Woodhouse: umorismo e reminiscenze” (Rubettino Editore). Per il progetto “Women for Women against Violence”, format televisivo in onda sulla Rai, ha ricevuto dal Sindaco  di Roma Roberto Gualtieri il Premio “Roma Rose – Non solo 8 marzo” promosso dalla Presidente dell’Assemblea Capitolina, Svetlana Celli, Il “Castello d’Oro” e, proprio in questi giorni, il “Premio Anemos”.

Lei è presidente dell’Associazione Consorzio Umanitas cosa l’ha spinta a costituire un’associazione senza scopo di lucro?

Da tanti anni ormai sono impegnata nel sociale e ho pensato di costituire due no profit per promuovere progetti diversi che mi stanno molto a cuore. L’associazione Consorzio Umanitas, che produce e organizza Women for Women against Violence – Camomilla Award, va nella direzione della sensibilizzazione sui temi della violenza di genere e della prevenzione del tumore al seno, oltre al sostegno concreto alle vittime che vengono raccontate. Poi c’è Integrarte onlus che ho fondato in Calabria che mira a realizzare una accademia di spettacolo per ragazzi diversamente abili e normodotati.

Quest’anno l’evento “Women for Women against Violence – Camomilla Award” è giunto all’8^ edizione. Come nasce questa idea?

Nasce dal mio vissuto, il tumore al seno mi ha portato via mia sorella più grande, ha colpito anche me e mia sorella più piccola. Da tempo, inoltre, affianco per la comunicazione l’associazione Salvamamme, attiva contro la violenza di genere. Ho pensato a quelle cicatrici che segnano in maniera indelebile le donne colpite da un tumore o vittime di violenza, donne nelle quali c’è un riflesso di me e della mia vita, il dolore, la voglia di rinascere e la strada in salita… Il nostro racconto è dedicato alle difficoltà che devono affrontare. E in anni abbiamo dimostrato quanto abbiano problematiche comuni, ne cito due, la ferita affettiva e la tossicità economica.

Ha dei soci/collaboratori che la aiutano a costruire l’appuntamento annuale di “Women for Women against Violence – Camomilla Award”?

Io non ho avuto grandi aiuti, ma forse posso fare qualcosa per gli altri. La mia è una piccolissima associazione basata integralmente sul volontariato. Non avendo una disponibilità economica mi faccio carico io di scrivere e realizzare integralmente il programma, dalla richiesta dei patrocini istituzionali, alla scrittura delle storie, gli inviti degli ospiti, e anche la ricerca sponsor. È una fatica immane che faccio a titolo gratuito e che devo conciliare con la mia attività professionale che mi dà da vivere. Per fortuna negli anni si è formata una squadra di persone generose e straordinarie che hanno sposato come me il progetto.

Organizzare un evento, in cui i protagonisti sono persone che decidono di portare la propria testimonianza su episodi di violenza subita, non deve essere cosa semplice, qual è la sua strategia? Come sceglie le storie da portare sul palco?

Le storie vengono da una accurata ricerca partendo dai messaggi che voglio fare arrivare al pubblico. Il primo presupposto è andare in una direzione diversa rispetto al racconto che arriva dalla maggioranza dei media che, lo dico con amarezza, ormai sono omologati. Sul nostro palco ospitiamo storie come quella di Filomena Lamberti, lasciata sola e in difficoltà economiche dopo una feroce aggressione con l’acido solforico da parte del marito, abbiamo fatto partire l’appello sull’oblio oncologico quando non ne parlava nessuno e si è anche parlato della tossicità del tumore. Siamo stati i primi (e gli unici) a presentare uno studio, delle problematiche degli orfani e dei care giver, quelle migliaia di persone invisibili che si prendono cura dei propri cari.

Troviamo nei racconti argomenti come il “tradimento affettivo”, tema molto forte e per cui è difficile parlarne in pubblico. Perché ha scelto di voler trattare questi temi e realizzare un Format televisivo che è in programmazione Rai per la messa in onda il prossimo 24 novembre alle 23.10 su Rai Tre?

Come spiegavo prima penso che questi temi vadano trattati in maniera più ampia, non riducendoli a mero racconto di cronaca o di statistica, o peggio con i simboli nei quali sinceramente non mi riconosco. L’esempio della ferita affettiva che abbiamo approfondito in questa edizione è uno dei temi che vivono tantissime donne vittime di violenza, che quasi sempre sono colpite da quelli che dicono di amarle, e anche quelle che combattono un tumore che, statistica che nessuno fa, molto spesso subiscono l’abbandono affettivo. Lui non regge al cambiamento psichico, fisico, e umorale che avviene nella donna che affronta e vive un tumore, e prima, durante, o dopo la cura, si defila. La “mamma” di Miss Italia, Patrizia Mirigliani, che ci ha dedicato un monologo dal titolo “Io quell’intruso lo conosco bene” e ha raccontato che, mentre lei faceva la chemio e perdeva i capelli, lui la tradiva. È vero però che tante donne hanno avuto la fortuna di essere sostenute dal compagno, ma purtroppo molte soffrono l’abbandono.

Ascoltando le varie storie delle vittime di violenza si assiste ad un tentativo di rinascita facendo leva su una grande dose di coraggio, è proprio così? Sono in tanti a trovare questa forza?

Non sempre, per questo ho scelto storie di donne in rinascita, forti, coraggiose, che hanno affrontato (ed affrontano tuttora) l’indicibile, perché sono un esempio per quelle più fragili, che, grazie a questi esempi, possono trovare la forza di reagire. Quando ho avuto il tumore e ho deciso di sostenere come testimonial il diritto alla ricostruzione del seno partecipando a diverse trasmissioni e rilasciando interviste, in tante mi hanno contattato chiedendo aiuto, da lì ho capito che dovevo fare qualcosa di più.

Lei ha portato alla ribalta un tema molto spinoso, l’oblio oncologico,. C’è finalmente un disegno di legge approvato alla Camera e prossimo all’approvazione in Senato. Cosa rappresenta per lei questo tema? Perché le sta così a cuore?

Mi piace parlare di argomenti poco comuni, quello dell’oblio riguarda più di 800mila persone (per lo Stato) guarite da un cancro, che in realtà hanno difficoltà ad accedere a un mutuo, a chiedere un prestito, o ad adottare un figlio. Il tema lo abbiamo sollevato lo scorso anno tramite la testimonianza di Carolina Marconi che stava collaborando con Fondazione AIOM per una raccolta di firme. Ma l’elemento “scatenante” l’attenzione delle istituzioni è stato il fatto che diversi paesi europei avevano fatto una legge ad hoc. Da qui, finalmente, un progetto di legge.

Dalla sua esperienza, quasi decennale, su argomenti legati a maltrattamenti, abusi, abbandoni, delusioni, quanta fatica si fa realmente ad uscire da una violenza subita?

E’ una strada in salita, un percorso complesso e difficile, non solo perché ti devi riprendere da una aggressione, ma perché devi affrontare problemi su problemi. Penso ad esempio a donne sfregiate dell’acido o date alle fiamme, o comunque segnate da terribili cicatrici che possono curarsi solo se non hanno problemi economici. Per non parlare degli indennizzi che arrivano (se arrivano) anni dopo, quando c’è la sentenza della cassazione. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo fatto curare gratuitamente delle donne con un sistema non invasivo che dà risultati straordinari, e di questo siamo orgogliosi.

Durante l’evento “Women for Women against Violence – Camomilla Award” vengono dati premi e consegnati degli assegni in danaro, un aiuto concreto, frutto della raccolta fondi in cui la sua associazione si dedica, è lodevole un impegno di tale portata. Chi viene premiato? E come trova i sostenitori disponibili a contribuire?

Noi premiamo con il Camomilla Award quelle donne coraggio che ho raccontato prima, che mettono la loro esperienza di forza e resilienza a disposizione delle più fragili, ma anche personalità che si sono distinte per il loro impegno sui due temi. Trovare sostenitori è un “miracolo” che accade in ogni edizione con difficoltà enormi perché non siamo un’associazione “blasonata”.

Quando si chiude il sipario cosa le confidano le persone che hanno deciso di esporsi con le loro storie?

Sono felici perché il racconto è una forma di liberazione, perché sentono l’affetto del pubblico e sanno che stanno aiutando altre donne. La cosa veramente bella è l’affetto che resta per Women for Women, questo ci riempie di gioia e di orgoglio.

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