Se c’è una band capace di infondere una forza travolgente, oltre che una musica briosa, accattivante e con messaggi positivi che sono veri e propri inni alla vita, questa risponde proprio al nome degli Earth Wind & Fire.
Capitanati dai fratelli White (il compianto Maurice e Verdine) e dal brillante falsetto di Philip Bailey, il gruppo è una delle principali istituzioni della black-music e non solo, grazie a un suono dotato di spiccato senso del groove, contaminazioni con rock, ritmi africani, world, psichedelici e disco e grazie anche a una sezione fiati vigorosa, una delle migliori nel panorama musicale mondiale.
Sia che si tratti di pezzi funky carichi di ritmo, sia che si tratti di ballate ricche di soul, dolci, passionali e sensuali, gli Earth Wind & Fire hanno saputo contraddistinguersi per essere stati anche tra i gruppi più influenti del genere, forte anche della stima a loro tributata da vari artisti contemporanei del neo-soul e dell’R&B e anche dei vari campionamenti in molti pezzi hip-hop.
Oggi vi traghettiamo nel 1979 parlandovi di “I Am”, lavoro che si avvale della produzione di David Foster e della partecipazione di Steve Lukather dei Toto, e che conferma la direzione presa dalla band di Chicago, in cui il loro consueto groove soul-funky si sposa con il sound AOR West Coast.
Per quanto riguarda i pezzi più carichi di groove basta lasciarsi rapire dalla forza ipnotica di “In The Stone”, con a sorpresa un finale africano a base di vocalizzi e kalimba (strumento sovente frequente nella loro musica, a sancire i legami indissolubili tra soul e musica etnica africana) e “Can’t Let Go”.
Tra le ballate strappacuore e passionali come non citare “After The Love Has Gone”, composta da Jay Graydon, David Foster e Bill Champlin. Originariamente fu proposta al duo Hall & Oates, che declinò l’offerta. Successivamente venne passata agli Earth Wind & Fire. Graydon, Foster e Champlin la incisero un anno dopo accreditandosi con il nome Airplay. “Boogie Wonderland”, cantata insieme al gruppo femminile delle Emotions, avrà successo nelle discoteche di allora, grazie al suo groove solare, positivo e che mette grande voglia di ballare. “Con questo pezzo si chiude degnamente il periodo della discomusic…”, dissero a riguardo del brano gli stessi Earth Wind & Fire.
Ottimi anche la soulful e atmosferica “Star”, con un ottimo solo trombettistico, e lo strumentale “Rock That”, brano che accorpa suoni funky-disco ad elementi rockeggianti. “I Am” raggiungerà, in quell’anno, la vetta della classifica Billboard dedicata agli album di musica soul e otterrà diverse certificazioni platino sia negli USA, che in Canada e Regno Unito. La rivista Melody Maker lo collocherà alla posizione numero 8 dei migliori dischi del 1979. L’opera aggiunge un altro tassello importante alla carriera degli Earth Wind & Fire, la cui discografia conta numerose perle con album come “That’s The Way Of The World” e il live “Gratitude”, tanto per citare alcuni esempi, entrambi del 1975.
La forza della loro musica viene anche testimoniata dal fatto che se in studio loro erano dei musicisti impeccabili, lo erano altrettanto dal vivo, per via del loro senso del ritmo e della loro capacità di stravolgere i brani rendendoli anche superiori qualitativamente alle versioni studio, grazie alle soluzioni armoniche e compositive che loro sapevano creare.
“I Am” mostra un lato inedito della musica di Maurice White e compagni, forte anche della presenza di session-men altisonanti come Steve Lukather e Steve Porcaro, che in quegli anni avevano messo su i Toto, di David Foster (che diventerà un produttore rinomato per varie star del pop mondiali) e Jay Graydon (la parte chitarristica della celebre “Figli delle Stelle” di Alan Sorrenti è la sua). L’unione tra il loro classico stile soul-funky e le atmosfere West Coast, si rivelerà un connubio azzeccato, un valore aggiunto alla musica degli Earth Wind & Fire, un sound intramontabile e capace di emozionare non solo gli amanti del soul e dei suoi affini, ma anche tutti gli amanti del pop e del rock in tutte le loro sfaccettature.
Foto di javier dumont da Pixabay
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