Il referendum turco è uno schiaffo all’Europa

erdogan“Evet” in turco significa sì. Domenica la Turchia ha detto “evet” al rafforzamento del sistema presidenziale. Ma più che al nuovo sistema presidenziale, che darà superpoteri ai presidenti in carica, sì la Turchia l’ha detto al signor Recep Tayyip Erdoğan, all’uomo forte contrario all’Europa, al sultano che non perde occasione per attaccare i paesi europei definendo fascista e nazista la loro politica.
Ci vorranno mesi per capire esattamente cosa abbia portato a questo risultato e se e come esso cambierà la società e la vita politica in Turchia. Tuttavia alcune considerazioni a caldo possiamo farle gia oggi.
Una prima considerazione riguarda la società turca. Nonostante Erdoğan abbia spesso dichiarato che la riforma darà stabilità al paese, il fatto che la vittoria del sì sia stata piuttosto risicata, solo il 51,3%, riflette forti divisioni in seno alla società turca. Queste divisioni, che affondano le loro radici nella storia passata, negli ultimi anni si sono esacerbate, manifestandosi in modo destabilizzante, con violente proteste verso il governo e frequenti atti di terrorismo. Il tentato golpe dell’autunno scorso fa storia a sé, ma è comunque espressione di questa spaccatura.
Un’altra considerazione emerge dalle differenze geografiche del voto. Nelle grandi città, come Istanbul, Ankara e Ismir, i cittadini turchi hanno votato contro la riforma. Contro hanno votato anche le aree geografiche più orientali, abitate in prevalenza da popolazioni di etnia curda, da sempre desiderose di indipendenza dal governo centrale. No hanno votato, in generale, anche le aree geografiche occidentali, affacciate al mediterraneo e più vicine all’Europa.
Ci si sarebbe aspettati che no votassero anche i cittadini turchi che vivono in Europa. Ci si sarebbe aspettati che il loro no evidenziasse l’emancipazione raggiunta vivendo lontani dai confini nazionali. Paradossalmente invece è proprio in Europa che il referendum ha evidenziato le contraddizioni maggiori. In Olanda, Belgio e Austria, il consenso alla riforma voluta da Erdoğan ha raggiunto rispettivamente percentuali del 71%, del 75% e del 73%. In Germania gli “evet” hanno superato il 63% sia pur con ampie differenze da città a città. A Berlino il sì ha di poco superato il 50%, a Essen ha sfiorato il 76%.
La comunità turca in Germania, la più numerosa in Europa, si è detta preoccupata del risultato che “dovrà essere attentamente analizzato per capire come mai persone che da decenni vivono nella libertà desiderano per i propri connazionali in patria un regime autoritario”. Comprendere questa contraddizione rimanda, a parere di chi scrive, alla vera grande questione aperta, quella dell’integrazione. Una questione assai complessa e controversa che, in Germania come altrove, non riguarda solo i turchi, ma milioni di individui di diverse etnie e culture.
Una cosa è certa. L’era in cui a Bruxelles si discuteva se accogliere o meno la Turchia nella Unione Europea è definitivamente finita. Col referendum di domenica scorsa i rapporti con il grande paese a cavallo tra Asia e vecchio continente diventeranno più problematici e conflittuali. L’Europa sarà meno in grado di influenzare con la propria politica una regione di importanza cruciale per la pace e la stabilità. Sarà sottoposta alla minaccia dei flussi migratori usati come arma e mezzo di ricatto politico. Niente di nuovo. Resta però il rammarico di non aver fatto il possibile per tentare di integrare la Turchia venti anni fa, prima dell’11 settembre e in condizioni geopolitiche ben diverse dalle attuali.
Un’ultima considerazione riguarda l’istituto del referendum, in teoria democratico. Sempre più spesso usato strumentalmente per raggiungere scopi e finalità che di democratico hanno ben poco.

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