Gli amori impossibili del giovane Lorca

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«Mio padre si sposò vedovo con mia madre. La mia infanzia è l’ossessione di alcuni piatti d’argento e di alcuni ritratti di quell’altra che avrebbe potuto essere mia madre» afferma il poeta spagnolo Federico Garcia Lorca in una dichiarazione fatta nel 1928. Una frase che ha a che fare con la sua vita, ma soprattutto con la sua poetica. Quello dell’«altra» infatti è il primo dei suoi amori non vissuti, una possibilità che non si è realizzata, destinata a rimanere intrappolata in un eterno condizionale. 

Come tutti sanno, la vita di ogni uomo è la strettissima selezione di un infinito numero di possibilità. Molti non pensano a ciò che avrebbe potuto essere e si limitano a vivere ciò che è, ma Lorca no. Lui sente l’esigenza di visitare «il mondo estatico dove vivono tutte le sue possibilità e i suoi paesaggi perduti». Vuole conoscere i propri «figli che non sono nati». Un’esigenza forte che scalpita in un animo sensibile e diventa poetica di un amore negato e rimpianto.

Contrapposizione dei tempi verbali 

Spia formale della distanza irrimediabile tra ciò che avrebbe potuto realizzarsi e la realtà è la netta contrapposizione tra verbi al condizionale o al passato e i verbi al presente. Si pensi per esempio alla poesia Ti condurrei — scritta nel 1919 ma rimasta inedita fino al 1994 — che comincia con: «Ti condurrei,/Negli autunni/Al bordo dei verdi/Stagni infiniti,/ A vedere i neonati /Di giovani fate/E a guardare i placidi/Alberi sfioriti». 

In questa prima strofa troviamo un’atmosfera sognante, dal sapore edenico e mitologico. L’io poeta si rivolge a un tu non identificabile. Intorno a questo tu crea una sorta di sogno che nella quinta strofa viene spazzato via dall’irrompere del tempo presente preceduto da un imponente Ma: «Ma già le foglie/Coprono il sentiero/E freddo è ormai/Il cuore tuo». La scena viene invasa da un inverno che si impone come un deserto di neve dove il sentimento amoroso non può fiorire. Così l’amore immaginato si riduce a un vorticare lontano del vento che sbatte contro i vetri e si rivela irraggiungibile. 

Le metafore del dolore

La distanza e l’amore formano un binomio fisso nella poetica lorchiana. L’immagine del «vento contro i vetri» —riproposta in maniera quasi identica nel componimento Aria di notturno (Libro de poemas, 1921) — è una delle tante metafore che Lorca utilizza per rendere l’idea di quanto l’amore sia inaccessibile e di quanto sia violento il dolore che ne deriva. Questa condizione è spesso resa con metafore legate all’idea del freddo, dell’appassimento e dell’infilzamento.  Più in generale, della sterilità e della morte.

Nelle poesie giovanili ne troviamo numerosi esempi: «Occhi azzurri che, coperti di neve/E di gigli sfioriti, vi aprite così distanti/Dai miei» (Il madrigale triste dagli occhi azzurri, 1919); «il mio cuore freddo» (Aria di notturno, 1919); «Nel traforato/ teschio azzurro/misero stalattiti/i miei «ti amo» e «e perforò la luna/il mio dolore salmonico» (Madrigale, 1920); «Ho le mani/ trapassate dai fori/ dei chiodi» (Incontro, 1920)…

Amore-Morte-Arte

In questi componimenti troviamo già il racconto tragico di una morte sentimentale che ancora coinvolge solo l’individuo, ma che nelle opere più mature diverrà cosmica. È la storia di un fallimento esistenziale che poggia sul trinomio poetico amore-morte-arte. Un trinomio fondamentale nella poetica di Lorca, la cui individuazione — come scrive Pietro Menarini nell’introduzione all’edizione 2008 di Poesie d’amore — è addirittura essenziale per svolgere «il mestiere del poeta». 

A questo proposito, nell’intervista rilasciata nel 1933 al giornalista Francisco Perez Herrero (quotidiano la Mañana») il poeta afferma: «L’artista, e specialmente il poeta, è sempre anarchico nel senso migliore del termine, senza dover essere capace di ascoltare altra chiamata che quella che fluisce dentro di lui stesso mediante tre forti voci: la voce della morte, con tutti i suoi presagi; la voce dell’amore e la voce dell’arte». Ed è grazie a queste voci che in parte Lorca riesce a rispondere alla sua esigenza di esplorare le possibilità irrealizzate e a trasformare il suo grido di dolore in un bellissimo canto.

Foto di SEBASTIEN MARTY da Pixabay

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