Commercianti italiani in mutande grazie alla riforma Bersani

cessata attività commercioDopo tre lustri dalla sua introduzione, possiamo permetterci di dire che la a riforma del commercio, voluta dall’allora ministro dell’Industria Pierluigi Bersani e approvata dal Governo Prodi fu una vera condanna a morte per i commercianti.

La normativa fu introdotta con decreto legislativo n° 114 del 31 marzo 1998 e prevede l’apertura di un esercizio commerciale fino a 250 metri quadrati senza vincoli di distanza minima dall’attività commerciale concorrente più vicina.

Da allora chiunque può aprire un negozio e vendere ciò che desidera purché non sia stato dichiarato fallito, abbia riportato condanne penali o sia sottoposto a particolari misure restrittive, come il divieto o l’obbligo di soggiorno oppure la sorveglianza speciale. Non ci sono più le 14 tabelle merceologiche che nei decenni scorsi caratterizzarono questo settore, effettivamente fino ad allora con una burocrazia piuttosto complessa ma non per questo completamente da cancellare.

Molti cittadini allora, forse fuorviati dall’innovazione, ne furono subito entusiasti, altri meno. Soprattutto tra gli esercenti ci fu chi ritenne la scelta fatta una vera e propria mannaia per il commercio. Noi la pensiamo tutt’ora come i secondi.

L’unica scelta obbligata da fare oggi per aprire un’attività commerciale è sul settore: alimentare o non. Ciascuno può decidere di aprire un bar, piuttosto che un ristorante o una frutteria in soli 30 giorni, anche se nella serranda a fianco c’è un diretto concorrente. Sarà sufficiente il tempo necessario per il consenso municipale. Straordinario, direte voi. Invece no.

Perché questa riforma del nuovo millennio ha portato a far nascere negozi in quantità esponenziale senza guardare all’utilità sociale, all’esperienza lavorativa del potenziale esercente e alla sopravvivenza dei commercianti esistenti. Con la conseguente ed evidente povertà di qualità di prodotti e di impoverimento imprenditoriale.

Tra i primi atti sostanziali che la riforma evidenziò fu quello della diminuzione del personale nei negozi esistenti. L’esatto contrario di ciò che dichiarava prima dell’attuazione della legge l’ex ministro Bersani, il quale sosteneva che con la sua riforma del commercio, si sarebbe incentivata la concorrenza e di conseguenza l’occupazione di mano d’opera.

La realtà fu invece che a causa dell’apertura indiscriminata di attività identiche a pochi metri di distanza l’una dall’altra, molte delle piccole aziende che si servivano della mano d’opera di giovani baristi, commessi, segretarie, ecc., si videro costrette inizialmente a licenziare i propri dipendenti e successivamente a chiudere definitivamente l’esercizio.

L’altro cambiamento radicale del commercio, causato dalla riforma Bersani nelle periferie cittadine, fu quello di azzerare i piccoli esercenti di carne, di alimentari, di vini e oli, di trattorie a conduzione familiare, di botteghe tessili e di artigiani a favore di grandi, e a volte superflui, perché vicinissimi tra di loro, centri commerciali.

Oltre a far fiorire come margherite i Chinacenter, mega super mercati, gestiti da cittadini cinesi, dove si può trovare dall’ago allo zucchero ma certamente privi di calore confidenziale. Un vero e proprio decadimento della cultura commerciale italiana. Basata fino ad allora sull’esperienza e sulla fidelizzazione generazionale tramandata da padre in figlio.

Ormai, oltre all’interminabile crisi economica, che si è aggiunta ad una situazione drammatica esistente, grazie soprattutto a questa approssimativa riforma del commercio voluta dall’ex segretario del Pd, vediamo continuamente sorgere centri commerciali – definibili anche città commerciali perché dentro ci si trova di tutto, dal cinema all’estetica – e scomparire sempre più artigiani e piccole attività.

In ultimo, ma non per importanza, a gravare sui poveri commercianti c’è la stretta del micro credito attuata a scapito di famiglie e negozianti dai grossi gruppi bancari, padroni di centri commerciali e manovratori di politici burattini che a parole stanno col popolo ma nei fatti sono arrendevoli al potere finanziario. Codardi.

di Enzo Di Stasio

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