Charles Dickens e la vera storia di Ebenezer Scrooge

Più di quaranta adattamenti fra cinema e televisione incluso il cortometraggio con Topolino e il film con i Muppet, quasi cinquanta traduzioni solo in italiano senza contare le letture, le rappresentazioni teatrali e addirittura i balletti: questi sono pressappoco i numeri di Canto di Natale” di Charles Dickens, uno dei classici più amati della letteratura.

Pubblicato per la prima volta il 19 dicembre 1843 dalla casa editrice Chapman and Hall, “A Christmas Carol, in Prose – a Ghost-Story of Christmas” -questo il titolo originale- andò a ruba nel giro di pochi giorni divenendo un caso editoriale senza precedenti. Basti pensare che, già l’anno successivo, erano in scena ben otto produzioni teatrali basate sul racconto. Un autentico successo!

Ebenezer Scrooge

Oramai è innegabile che “Canto di Natale” faccia parte della nostra tradizione alla stregua dell’albero, delle lucine e del panettone; infatti, anche chi non l’ha mai letto conosce la storia di Ebenezer Scrooge, il vecchio avaro e burbero, interessato unicamente al guadagno, che odia il Natale e ogni suo festeggiamento e che si ravvede solo dopo la visita dei tre spiriti del Natale passato, presente e futuro.

Divenne così buon amico, così buon padrone, così buon uomo, come se ne davano un tempo nella buona vecchia città, o in qualunque altra vecchia città, o paesello, o borgata nel buon mondo di una volta”.

Se è nota la trama, non tutti però conoscono l’uomo che ispirò Dickens

A tal proposito si racconta che, mentre passeggiava a Edimburgo nel cimitero di Cannongate, lo scrittore incappò nella lapide di un certo Ebenezer Lennox Scroggie.

Forse per la poca luce o per una semplice svista, a Dickens parve di leggere sulla gelida pietra le parole “a mean man”, uomo cattivo. Quell’espressione, così anacronistica per il luogo, spinse l’autore a immaginare i motivi di un epiteto che macchiava indelebilmente la memoria del defunto. Ebbene, in questo modo e senza saperlo ancora, gettò i primi germogli della storia.

In vita non doveva essere stato un buon cristiano quell’Ebenezer! Nulla di più lontano dalla realtà.

Un ottimo viticoltore

Scroggie, tra l’altro cugino del famoso economista Adam Smith, si guadagnò da vivere principalmente come commerciante di mais e viticoltore e, in poco tempo, si fece un ottimo nome esportando whisky e importando vino sfuso. Nel 1822 si aggiudicò addirittura l’appalto come fornitore di bevande in occasione della visita di Re Giorgio IV, un evento di gran rilievo che fu organizzato nientemeno che da Sir Walter Scott.

D’altra parte erano ben due secoli che un sovrano regnante non tornava in Scozia per di più indossando il kilt!

Cordiale e allegro nei rapporti sociali ma a tratti troppo esuberante e licenzioso, come quando afferrò per le natiche la contessa di Mansfield durante l’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, Scroggie fu sicuramente l’opposto della sua controparte letteraria.

E infatti su quella lapide, purtroppo andata perduta nel restauro del cimitero del 1932, non c’era mai stato un riferimento ad una qualche indole malvagia perché la scritta in realtà recitava “a meal man”, uomo del pasto, a indicare la professione del defunto.

Dickens e l’equivoco

Dickens aveva semplicemente letto in modo erroneo ma quell’equivoco bastò a risvegliare la sua fantasia.

D’altronde l’autore, da sempre attento alle tematiche sociali, si era assunto da tempo il compito di osservare le condizioni delle classi povere e già nella sua mente si era palesata l’idea di scrivere un romanzo di denuncia.

L’ispirazione

E ulteriore ispirazione, per la caratterizzazione del protagonista, gli arrivò dalla figura di John Elwes, un deputato del Berkshire descritto da Edward Topham in una nota biografia del 1790.

Elwes The miser, com’era soprannominato, ereditò l’avarizia dalla famiglia: la madre, anche se godeva di una buona rendita, si dice che morì di fame pur di non spendere denaro mentre lo zio, da cui John poi prese il cognome, era il peggior critico di chi sperperava il patrimonio in cose per lui banali ma per gli altri utili.

Da ragazzo studiò a Westminster e si laureò a Ginevra dimostrando uno spiccato interesse per la caccia e l’equitazione. Per giunta disponeva di un bel lascito di soldi e tenute in seguito alla morte dei genitori.

Ma, ad un certo punto, forse per ingraziarsi lo zio Sir Harvey Elwes, John cominciò a cambiare abitudini plasmando se stesso sul modello del vecchio parente che si vantava di possedere un ingente patrimonio ma di vivere con appena 110 sterline l’anno: spesso i due passavano le serate condividendo un unico bicchiere di vino alla fioca luce di un misero fuocherello.

Viene spontaneo credere fosse tutta una simulazione per ottenere i quattrini dello zio eppure John, quando alla morte di Sir Harvey ereditò una fortuna di oltre 250.000 sterline, mantenne quelle usanze fin troppo parsimoniose: indossava abiti vecchi e logori sia per il giorno che per la notte, camminava persino sotto la pioggia per non pagare la carrozza, mangiava il cibo anche quando era guastato dalla muffa, usava un’unica candela per sé e la servitù pur di non accendere il fuoco.

Addirittura si racconta che, quando si ferì le gambe con il palo di una portantina, intimò al dottore di curarne una sola scommettendo che, se quella non medicata fosse guarita prima, non avrebbe pagato alcun onorario. Inutile dire che Elwes vinse.

Elwes deputato

Quando poi fu eletto deputato, rifiutò la carrozza e viaggiò solo con il cavallo cercando sempre di eludere i pedaggi stradali ma, dopo dodici anni, abbandonò la carica lamentandosi per le spese eccessive imposte dal ruolo politico.

Ciononostante, incredibile ma vero, prestò grandi somme agli amici finanziando sia le loro scommesse nelle case da gioco che i loro investimenti nel commercio. E spesso non ricevette alcuna restituzione, nemmeno la sollecitò. Ripeteva sempre “ non deve chiedersi del denaro ad un Gentiluomo, in nessun caso”.

Negli ultimi anni, provato nel fisico e nella mente, cominciò a essere ossessionato dalla paura di essere derubato. La notte vagava in preda alle allucinazioni e, quando gli sembrava di sentire dei ladri, correva a nascondere il denaro salvo poi dimenticarne l’ubicazione.

Alla sua morte lasciò una bella rendita ai due figli illegittimi, circa 500.000 sterline a testa, e altre 300.000 al nipote.

Si spense da solo, nel suo letto, dopo otto giorni di sofferenze. Il medico disse che, se Elwes avesse speso più di quelle scarse 50 sterline l’anno, avrebbe potuto vivere anche altri vent’anni.

Il suo amico e biografo Topham scrisse che l’avarizia di John non si tradusse mai in cattive azioni o in un cuore di pietra; egli fu più che altro nemico di se stesso, visse all’insegna dell’abnegazione ma agli altri non negò mai nulla.

E infatti Elwes The miser non solo aiutò gli amici ma contribuì anche all’edificazione di parte della Londra Georgiana: da Portman Square fino ad arrivare a Piccadilly e Baker street.

Fu simile al suo doppio letterario solo nelle abitudini, non certamente nei sentimenti.

Dickens e la favola di Natale

Ebenezer Lennox Scroggie e John Elwes: queste le vite che ispirarono Dickens per una favola di Natale quanto mai attuale. Una storia di speranza e redenzione.

Quest’anno ricorre il 150° anno dalla morte dell’illustre scrittore e, per celebrarlo, le Poste dell’Isola di Man in collaborazione con il Charles Dickens Museum di Londra hanno emesso un set di francobolli ispirati a “Canto di Natale” raffiguranti le incisioni originali di John Leech.

Francobollo commemorativo

Nella collezione è presente anche un francobollo, di alto valore, che riproduce il ritratto in miniatura dell’autore all’epoca in cui scrisse il libro. Il dipinto fu realizzato da Margaret Gillies e ritrovato dopo 130 anni.

Da ieri, 8 gennaio, si potranno anche acquistare le tre monete dell’Isola di Man “A Christmas Carol”.

Una bella idea per commemorare uno scrittore che ancora oggi ci ricorda il vero significato del Natale: non i doni, nemmeno gli addobbi, ma le persone che amiamo. E in alcuni momenti storici è proprio bene ricordarselo.

Come concluderebbe Dickens: “e di lui fu sempre detto che non c’era uomo al mondo che sapesse così bene festeggiare il Natale. Così lo stesso si dica di noi, di tutti noi e di ciascuno! E così, come Tiny Tim diceva: Dio ci protegga tutti e ci benedica”.

Foto di Venita Oberholster da Pixabay

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.