Afganistan, il ritiro dell’ISAF e il fallimento di una politica militare

afganistanPochi giorni fa sono state ammainate la bandiere dell’ISAF (International Security Assistance Force) a Kabul, e quindi, la forza militare internazionale che per dodici anni ha combattuto in Afganistan saluta e se ne va.

Finisce così, senza fanfare e dispiegamento di mass media, in maniera sommessa, dopo 13 anni di guerra e migliaia di morti, l’intervento internazionale, chiamato “Operation Endurig Freedom”, che sotto la guida degli USA ha coinvolto anche i paesi della Nato in Afganistan.

Ma quali sono i dati di questa guerra?

Secondo il Dipartimento della Difesa USA, sono 3485 soldati morti durante questi anni, e gli USA pagano il prezzo più alto con 2356, soldati seguiti dagli inglesi 450. Quarantotto sono i soldati italiani. Quello che più colpisce e che più della metà delle perdite militari, sono state causate dai temibili IED (Improvised Explosive Device) ovvero da quegli ordigni costruiti in maniera artigianale, nascosti sulle strade o all’interno di locali, difficili da individuare e per questo estremamente letali.

Questo a dimostrazione di come non si può parlare di guerra tra eserciti, ma semplicemente di una guerra asimmetrica praticamente impossibile da vincere con metodi convenzionali. Analizzando più approfonditamente i dati, i feriti tra le truppe della Coalizione, sono stati ben 17.674 con una media di circa 400 feriti all’anno nel periodo di massimo sforzo bellico. Naturalmente il termine ferito, è estremamente vago, perché non tiene conto della gravità delle ferite, e del grado di invalidità che ne consegue.

Nella seconda guerra dell’IRAQ dal 2003 fino al 2011 sono stati calcolati dal Dipartimento della Difesa circa 4489 soldati morti, e ben 32260 feriti. Secondo una NGO inglese la “Iraq Body Count” con sede a Londra, il totale delle vittime civili, (calcolate solo esclusivamente sui non combattenti) dall’inizio della guerra in Iraq nel 2003, si aggirerebbe intorno al 130.00 150.000 con una media nei momenti più caldi di circa 15.000 morti all’anno.

Sicuramente molte di queste vittime sono collegate alla guerra Sunnita –Sciita, ma tant’è il livello di morti e feriti nella regione rasenta quello di un massacro continuo. Queste cifre danno il senso del disastro che la politica occidentale, Usa in primo luogo, ha determinato nella regione. Il conflitto come un gioco di domino si è allargato ad altre zone vedi Siria, con altre centinaia di morti, zone come quelle sotto il controllo del Califfato ISIL, dove la violenza e la morte continua senza sosta.

E in Afganistan? Nulla sembra essere mutato, gli attacchi suicidi continuano, il Pakistan continua a svolgere un ruolo contraddittorio nei confronti dei talebani, dando rifugio tra le montagne, ma nello stesso tempo cercando di essere alleato con gli USA. Il traffico dell’oppio continua indisturbato, intere zone dove le truppe della coalizione si ritirano tornano immediatamente sotto il controllo dei Talebani. Anche le truppe addestrate dalla coalizione si ribellano contro i loro istruttori.

La politica USA ha destabilizzato completamente le aree, il problema è che per troppo tempo considerati liberatori, dopo il 2° Conflitto Mondiale, gli Yankees dall’Indocina in poi sono divenuti oppressori, calcolatori e distruttori di equilibri mondiali. Le grandi discussioni degli strateghi americani tra l’approccio muscolare soprannominato “counterterrorism”, e quello più soft teso al coinvolgimento delle parti in causa verso un nemico comune “counterinsurgency” alias dottrina Petreus, hanno pesato molto sulle scelte strategiche e di intervento nelle aree di conflitto, influendo pesantemente sui risultati sperati.

Alla fine nessuna di queste strategie sembra aver pagato. Si chiude qui una parte di un progetto bellico completamente fallito, che altro non ha portato che alla distruzione di Paesi con un aumento della instabilità mondiale ed il rischio di una escalation del terrorismo a livello mondiale. Ricostruire una politica occidentale in quelle aree non appare facile, anche perché gli effetti dureranno ancora per anni, soprattutto se il terrorismo colpirà nei nostri paesi.

di Gianfranco Marullo

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