Corruzione, cultura politica e freno allo sviluppo

102232522-180803406.530x298Pubblicistica e politici di minoranza si sono scatenati sul caso Lupi, mancando però il bersaglio. Lo ha mancato anche il nostro presidente del consiglio, Matteo Renzi, che ha commentato la vicenda in funzione dei meri aspetti penalistici della vicenda.

Nel fatto in specie, tuttavia, non c’entrano nulla. Se da una parte, dalle intercettazioni diffuse dalla stampa sembra non emergere alcun rilievo penale ai danni del citato ministro, e di questo ce ne rallegriamo, dall’altra non si può non rilevare che egli aveva la responsabilità politica del dicastero delle infrastrutture. Dicastero che, a quanto pare, è stato gestito da un ristretto e agguerrito numero grand commis che il ministro, anzi una lunga serie di ministri, non sembra essere riuscito a tenere sotto controllo. In questo caso, le dimissioni non possono essere che un atto dovuto.

I più maliziosi vedono dietro la sequenza di scandali che ha investito il nostro paese, dal Mose a Expo a Mafia Capitale, il fitto intreccio di relazioni sistemiche tra politica, imprenditoria rampante e burocrazia. Dietro a un atto di corruzione vi è una responsabilità penale individuale, quindi ci asterremo, almeno per il momento, dal compiere generalizzazioni semplicistiche.

Poniamo l’accento, invece, su un dato incontrovertibile: l’incapacità assoluta da parte di questa classe politica di affrontare in maniera efficace l’endemico problema della corruzione.

Sgombriamo, in primo luogo, il campo da difese d’ufficio raccogliticce. Il fatto che la corruzione non sia eliminabile è cosa ben nota a chi abbia un minimo senso della realtà. Ma un conto è che essa sia limitata entro confini fisiologici, un altro che divenga invasiva al punto da costituire un freno allo sviluppo economico e sociale del paese. Anche l’idea che l’alta burocrazia sia temporalmente trasversale a un gran numero di governi che si susseguono nel tempo non regge.

La classe politica occupa le istituzioni parlamentari e il governo. Essa ha responsabilità di controllo amministrativo e, soprattutto, quella di semplificare la selva di norme contorte, a volte oscure, e addirittura contraddittorie che regolano il contrasto alla corruzione. Quale è lo stato dell’arte? Una legge che giace da tempo alle camere, ma senza che nulla si muova. Ministri e sottosegretari che dicono di continuo: “io non c’ero, e se c’ero non mi sono accorto di nulla”. Si ceca di confondere, allora, l’adeguatezza di una classe dirigente con la responsabilità penale. La violazione del mandato non sussiste esclusivamente quando si compiono illeciti: al contrario, esso si manifesta quando non si è in grado di svolgere i compiti per i quali si è stati eletti o nominati.

E’ questo vivere ben al di sopra delle nuvole, in una torre d’avorio che isola dalla realtà fattuale e concreta della quotidianità che spaventa. Spaventa ancor di più del ladrocinio, del dolo conclamato oltre ogni ragionevole dubbio. Anche la risposta della politica è inquietante. Conscia di archetipi che anelano all’eroe in grado di risolvere, da solo e con pochi mezzi, ogni problema, essa fa nascere e diffonde l’epica del supercommissario anticorruzione da dare in pasto al popolino. Come se un uomo isolato possa davvero fare molto per avversare quella cultura del laisser faire, laisser voler (voler = rubare, n.d.r.) che ormai ci accompagna da tempo.

I fenomeni di corruzione hanno anche costi sociali elevatissimi. Vi sono stime che parlano di sessanta miliardi l’anno. soldi-1Su questo dato, si impone prudenza: questa è una variabile non osservabile per definizione e non può che essere stimata attraverso metodologie che sono fondate su procedure arbitrarie. Anche riducendo in modo più realistico la cifra a un terzo di tale valore, l’ultimo decennio avrebbe visto andare in fumo duecento miliardi di euro. Questo, tuttavia, è solo l’effetto diretto del fenomeno: in via indiretta, viene meno, in forza della lievitazione dei costi degli appalti, ogni tentativo di allocare in modo efficiente le scarse risorse che i vincoli di bilancio ci concedono. Sottrarre finanziamenti a iniziative produttive, a sua volta, frena la produzione di nuova ricchezza che gli investimenti produttivi potrebbero generare.

Il maggiore elemento di criticità sembra quindi risiedere nell’incapacità del sistema politico-istituzionale di architettare adeguati meccanismi di controllo. Non siamo maliziosi, tuttavia le vicende che hanno posto fine alla prima repubblica ci hanno insegnato che questo atteggiamento della politica, al confine tra l’inettitudine e il malaffare, aveva come scopo primario quello di dotare i partiti di risorse atte ad attrarre voti.

Infine, ci sembra preoccupante il silenzio dei partiti di maggioranza di fronte alla sempre più ricca cronaca giudiziaria, a parte la solita retorica da salotto buono. Per uscire da questa crisi, morale prima ancora che economica, occorrono fatti. I sofismi non bastano più.

di Joe Di Baggio

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