Kolima e Gagarin vengono cresciuti in simbiosi a pane e violenza, in un povero villaggio della Moldavia Orientale dove vigono rigide quanto contraddittorie regole di comportamento: essere corretti e magnanimi con i deboli, ma senza la minima pietà con esercito, banchieri e polizia, è il motto di nonno Kuzja, guida spirituale di una comunità dedita a rapine “giuste”, che provvedano al sostentamento del villaggio e le cui refurtive sono da condividere sempre con tutti.
Come ogni romanzo di formazione che si rispetti, Kolima è il più buono e obbediente del gruppo, e Gagarin il più ribelle e aggressivo. Il crollo del regime sovietico porterà una ventata di cambiamento, alla quale i due ragazzi reagiranno in maniera completamente diversa, perdendosi di vista. Molti anni dopo, quando Kolima si sarà arruolato nell’esercito e Gagarin sarà diventato un vero e proprio criminale, arriverà il momento di una resa dei conti che farà incrociare i loro percorsi per l’ultima, dolorosa volta.
Adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Nicolai Lilin, “Educazione Siberiana” è un tentativo interessante tutto italiano di rileggere in chiave più moderna il romanzo di formazione: l’ambientazione, l’intreccio narrativo, e i personaggi messi in scena profumano di romanzo russo dell’800, ma il contesto storico in cui si cala la storia (gli anni della caduta del Muro di Berlino e della divisione dell’Unione Sovietica) è quello vicino ai giorni nostri: la prova ne è una colonna sonora che fonde e alterna le superbe melodie di Mauro Pagani e pezzi dal retrogusto rock come “Absolute Beginners” di David Bowie e “Kali” del duo milanese Noise Under Dreaming. La musica scandisce tutti i passaggi tra un flashback e l’altro, alternando presente e passato in una danza che, come ha dichiarato Mauro Pagani stesso, rappresenta un “legame indissolubile tra colonna sonora e parti filmate, un miscuglio di astrazione e contemporaneità”
Questa sembra l’operazione più riuscita di tutto il film, che pur scorrendo veloce senza mai annoiare, pecca di qualche mancanza nella sceneggiatura, a momenti un po’ ingenua e troppo semplificata rispetto al libro (che ricostruisce molto più in profondità il percorso di crescita dei due giovani nella comunità siberiana) e a tratti un po’ ridondante, sovraccaricando di pathos e malinconia dialoghi e inquadrature, forse volontariamente.
Il merito di mantenere alta l’attenzione è in larga parte del grande protagonista morale della pellicola: nonno Kuzja, interpretato dall’unico attore gigante del film, John Malkovich, che con le sue massime e strane regole d’onore impersona la costante antitesi tra rigore e crimine, tra fede e anarchia, e tra bontà e violenza, nella quale vive (o forse sarebbe meglio dire sopravvive) la sua amata comunità.
Tuttavia, non si può non riconoscere a Gabriele Salvatores il merito di aver voluto disegnare un momento storico cruciale della Russia in modo originale e coinvolgente, con pennellate veloci di bianco come la neve che domina il panorama della pellicola, e imprimendo un velo di nostalgia come un tatuaggio, elemento ricorrente nel film, sugli occhi dello spettatore.
di Laura Celani
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