2018: l’incerto anno che verrà

23DCDE43-4C48-47D5-857F-F18192C4AD46Le previsioni per l’anno 2018 prossimo venturo sono molto più incerte di quelle che gli osservatori azzardarono all’inizio dei due anni precedenti. Quest’anno infatti mancano alcuni dati oggettivi per poter stilare previsioni che abbiano un sufficiente grado di attendibilità.

Italia: incertezza politica. Anche incertezza economica?

Partiamo dall’Italia. La maggior parte ritiene che dalle urne delle elezioni politiche del 4 marzo non esca una maggioranza in grado di governare e, alla fine, si giunga ad un governo di larghe intese a guida Gentiloni. Ferma restando l’affidabilità delle “larghe intese” nel nostro paese, ciò non è affatto scontato. Non è detto, infatti, che il centro-destra non ce la faccia ad ottenere la maggioranza assoluta nei due rami del Parlamento, così come non è detto che non vincano i Cinque Stelle. Non è detto, inoltre, che il 5 marzo si risolva tutto, sul piano della guida politica del nostro paese.

Il sottoscritto non osa pensare come reagirà l’indice MIB in caso di vittoria del M5S. Una Borsa che le previsioni – stavolta quasi unanimi e apparentemente affidabili – darebbero in rialzo, sulla scia della ripresa economica, italiana e anche europea, che dovrebbe proseguire. La sosterrebbe anche un moderato rialzo del prezzo del petrolio che sembra appositamente pilotato. Le crisi del 2015 e del 2016, inoltre, ci insegnano che, dopo eventuali i “crolli”, le quotazioni proseguono come se niente fosse, anche se a partire da livelli inferiori da quelli pre-crisi. Per l’Italia, infine, la politica del governatore BCE Mario Draghi, il cui mandato scadrà soltanto a ottobre 2019, è una garanzia.

Unione Europea: non solo Merkel

Veniamo quindi all’Europa. Il nodo rimane quello della composizione che la cancelliera Angela Merkel darà al contradditorio risultato delle elezioni politiche del settembre scorso. Se vi riuscirà; perché mai la Repubblica Federale è rimasta così a lungo senza governo, dalla sua fondazione. Conoscendo la statura politica della cancelliera, comunque, l’incertezza è solo per quanto riguarda il partner di coalizione: se i socialdemocratici di Schulz o se opterà per una maggioranza cosiddetta “Giamaica”, con i verdi e i liberali.

Le trattative per la Brexit procederanno normalmente, così come impone la UE. La Premier britannica May ha infatti capito di non avere la forza per contrastare le linee che detta Bruxelles. L’uscita dall’Unione ha portato al Regno Unito solo una sterlina più debole e l’isolamento politico. Perdere mercati oltre Manica e aprire un “guerra delle tariffe” con la UE sarebbe esiziale per l’industria di Sua Maestà.

Per il resto, l’euroscetticismo rimarrà sotto il tappeto. Non sarà la presa del poter del nazional-popolare austriaco Kurz a mettere in crisi la costruzione europea, né le velleità del Gruppo di Visegrád, che a livello economico, conta poco o niente. Resterà in grande ebollizione il problema della Catalogna ma relegato da Bruxelles a livello di problema interno della Spagna. Riteniamo inoltre che il soggiorno nella capitale UE abbia fatto comprendere allo stesso Puigdemont che la secessione significherebbe l’uscita della Catalogna dall’Europa e dall’euro, cioè la catastrofe per le sue industrie. Non per questo rinuncerà a dare fastidio (e molto!) al governo madrileno.

Il quadro extraeuropeo

A livello extraeuropeo il problema più grande è quello del contenimento del potenziale atomico e missilistico della Corea del Nord. Fin dove si spingerà Kim Jong-Un? In questo caso abbiamo la risposta: fin dove vorrà la Cina. E’ evidente infatti che la tecnologia nucleare nord-coreana proviene da Pechino, così come il sostegno alla sua economia e le materie prime necessarie. La Cina non ha nessun interesse che una guerra nucleare esploda a poche centinaia di chilometri dalla sua capitale. Ma vuole tenere sulla graticola lo sceriffo Donald Trump e lo farà per chissà quanto.

Terrorismo islamico. Caduta l’ISIS, restano gli jihadisti, che hanno già iniziato la loro diaspora. In parte cercano rifugio in luoghi improbabili del deserto arabico, in parte nelle repubbliche asiatiche ex-sovietiche, in parte – probabilmente – dall’inaffidabile Erdogan. Lo scenario della lotta allo jihadismo si sposta dalla Mesopotamia all’Africa settentrionale. Dal punto di vista della lotta al terrorismo, rimane lo stato di allerta nelle metropoli europee (e nelle città dell’islamismo moderato o sciita, comunque eretico per i fondamentalisti sunniti).

Infine, Donald Trump non rinuncerà a mostrare i muscoli in un punto o nell’altro del globo ma, oltre all’isolamento internazionale, di cui per la prima volta ha fatto dono agli Stati Uniti, ha davanti a sé due contendenti che sembrano non sbagliare un colpo: Vladimir Putin e Angela Merkel. Per questo, anche nel 2018, le sue esternazioni avranno rilevanza solo dal punto di vista mediatico.

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