Una ragione di vita per profughi e rifugiati

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Quotidianamente le cronache ci parlano di migliaia di profughi che fuggono dalla fame e dalle guerre o di persone che arrivano nel nostro paese perché espulsi o discriminati in patria. In modo particolare a Lampedusa arrivano ogni giorno barconi stipati di gente alla ricerca di una sistemazione dignitosa. Persone che, verosimilmente, in un contesto normale non abbandonerebbero mai il proprio paese, le proprie radici, i propri familiari e che spesso raggiungono le nostre coste solo perché costrette a lasciare tutto a causa della tirannia dei propri governanti. Queste realtà, a chi vive in una civiltà occidentale come la nostra,  a volte scorrono via come acqua nel torrente ma se riteniamo di essere cittadini di un paese civile dobbiamo prenderci l’onere di ospitare, bene, chi raggiunge il nostro paese. Dovremmo mettere le persone che arrivano da circostanze disperate in condizione di poter vivere la propria vita autonomamente e in serenità.  Diamo loro l’ospitalità che vorremmo ricevesse un nostro familiare in difficoltà in un paese lontano e regaliamogli una ragione di vita. Non dico di donare loro parte del nostro territorio nazionale perché sarebbe utopistico e significherebbe ghettizzarli in una sorta di macro centri d’accoglienza. Ma credo sia opportuno e doveroso che ognuna di queste persone riceva un’ospitalità dignitosa e che, a questo proposito, ciascuna delle nostre regioni se ne faccia carico. Soprattutto ora, che dopo vari decreti approvati il federalismo fiscale comincia a prendere corpo, suddividiamo per venti, quante sono le regioni italiane, anche le persone che raggiungono le nostre coste e integriamo quelle più bisognose e che hanno voglia di inserirsi nelle nostre comunità. E’ giusto accogliere nel modo migliore chi desidera integrarsi, rispettando le nostre regole. A cominciare dalla frequentazione obbligatoria della scuola da parte dei propri figli, semplicemente ciò che accade per i nostri, e dare la possibilità a queste persone di avere un lavoro onesto, agevolando le aziende che li assumono. Lo stato dovrebbe farsi carico degli oneri, previsti per ogni “lavoratore speciale”, almeno per i primi due anni. Altrimenti evitiamo di riempirci la bocca con terminologie ingannevoli tipo: solidarietà, accoglienza, ospitalità, fratellanza, eccetera. E se l’Europa tentenna, noi facciamolo lo stesso.  

Enzo Di Stasio  

Foto: ilsussidiario.net

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