Status quo, bum bum bum! Qui, Quo, Qua

Il titolo scelto sembra quello di una poesia neo-futurista, ma in realtà non è così. Esso riassume in estrema sintesi un vizio italico: si ignorano i problemi per decenni, poi scoppia il caso e tutti a specularci sopra, proponendo soluzioni che possono andare bene solo per la sceneggiatura di un cartone animato.

Di esempi se ne possono fare molti: dalla gestione della spesa pubblica, e la conseguente crescita dell’indebitamento, alla gestione della previdenza. Oggi, tuttavia, vogliamo parlare di un fenomeno sociale che, negli ultimi tempi, ha cominciato ad assumere risvolti “inquietanti”: la situazione relativa a rom e sinti nel nostro paese. Per farlo, occorre partire dall’armamentario di base: studi sociologici, incheste parlamentari, un minimo di documentazione storica, altrimenti si rischia di parlare solo di aria fritta.

La condizione di degrado e devianza attuali comincia a maturare negli anni sessanta. Si legge infatti sul raporto Analysis of Rom/Sinti situation in Italy del 2011: “È in questi anni che si gioca la partita di cui oggi soffriamo gli effetti: se coloro che allora tentavano la strada dell‟integrazione (scuola e istruzione) avessero ricevuto risposte adeguate avrebbero potuto rappresentare un esempio positivo da seguire e si sarebbe creata una generazione ponte in grado di gestire il cambiamento: cittadini capaci di arginare le spinte alla devianza e riconsegnare memoria e significato alle proprie tradizioni culturali. Ma le cose sono andate in ben altro modo: all‟epoca, a causa del nostro pregiudizio e della cecità delle istituzioni, la loro scelta appariva agli occhi degli altri zingari, una scelta perdente, una scelta da non imitare che li esponeva a umiliazioni e vessazioni …”.

Gli anni sessanta sono stati un periodo di profondo mutamento socio-economico che ha reso obsoleta la capacità di offerta di queste popolazioni prevalentemente nomadi. La risposta delle istituzioni, consolidatasi nel decennio successivo, è stata miope e insufficiente.

Vi è stato uno spostamento di rom e sinti verso le aree periferiche delle grandi cità, dove sono sorti campi privi di servizi e abbandonati a se stessi. Strutture fatiscenti, spesso abusive, dove, insieme al degrado, ha cominciato a crescere il tasso di devianza. E’ stato un processo che si è autoalimentato, come ben evidenziato in una relazione della commissione d’inchiesta del Senato, che parla di pregiudizio statistico: “siccome pare che in quella comunità ci sia più devianza, non mi fido e non do lavoro. Quindi gli individui di quella minoranza non hanno vie di uscita e ripiombano in comportamenti, come laccattonaggio, fastidiosi per la maggioranza o, peggio ancora, si procurano reddito con atti delittuosi di varia gravità che rinforzano il pregiudizio statistico”.

Il mondo bipolare, nella politica, che si è voluto attuare durante il passaggio dalla prima alla seconda repubblica si è dimostrato tale solo in termini di psicologia collettiva. Ora rom e sinti o sono tutti santi, oppure tutti delinquenti. Il primo termine di qualsiasi sillogismo si voglia costruire non regge al principio di induzione. La verità sta nel mezzo, anzi, bisogna dire che nel tempo il tasso di devianza in molte di queste comunità, ormai divenute stanziali, è cresciuto a dismisura.

Il reale problema, però, è un altro. Occorre dire chiaramente che esso non si risolve né con le ruspe e neppure mettendo la testa sotto la sabbia, ma bensì riconoscendolo, dimensionandolo e facendo ciò che non si è fatto mezzo secolo fa. La politica richiede sacrifici e intelligenza: bisogna riconoscere e fare. Quella fondata sui “bla bla” non serve a nulla.

Ma a questo punto sorge un dubbio. Non sarà forse che lasciare incancrenire certe situazioni faccia sponda ai “bipolari” che poi giocano le loro carte “estremiste” per catturare consensi? Sembra così, ma nel frattempo questo paese diventa sempre più terzo mondo e si allontana inesorabilmente dalle posizioni che aveva solo due decenni fa. Allo stato attuale quello che si vede è l’emergere di una retorica che sembra uscita da un libro di Girard: la perfetta ricerca di un capro espiatorio. Un capro espiatorio che sostituisce le mancanze di cinquant’anni di politica.

di Joe Di Baggio

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