Amore e mitologia nelle Stanze di Poliziano

poliziano

Il 26 aprile 1478 nel Duomo di Firenze la congiura dei Pazzi porta all’uccisione di Giuliano de’ Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico. Ad assistere all’accaduto c’è anche il letterato Poliziano (al secolo Agnolo Ambrogini), che in quegli anni stava componendo Stanze per la giostra, poemetto in ottave in cui si celebrava la vittoria dello stesso Giuliano nella giostra tenutasi in Piazza Santa Croce nel 1475. Con la morte improvvisa e scioccante del giovane Medici la stesura si interrompe, ma i due volumi che compongono le Stanze vengono editi lo stesso nel 1494 e rappresentano tutt’oggi uno dei massimi esempi della letteratura italiana del Quattrocento.

Cupido, la ninfa e il cacciatore

Stanze per la giostra si presenta come una favola mitologica che si snoda in una dimensione astorica e priva di luoghi definiti. Le influenze della letteratura classica sono evidenti sia da un punto formale che contenutistico. Anche se il poemetto è scritto in volgare il linguaggio è costantemente nobilitato da stilemi classici e da una tessitura espressiva propria della tradizione greca e latina. Come nei grandi poemi omerici, le trame intessute dai lunatici dèi latini stanno alla base dell’intera vicenda. Inoltre, l’incontro tra il protagonista Iulio (nome latinizzato di Giuliano de’Medici) e la ninfa Simonetta (ovvero Simonetta Cattaneo, bellissima moglie di Marco Vespucci che ha prestato il volto alla Nascita di Venere di Botticelli) rimanda alla storia di Apollo e Dafne narrata in Le metamorfosi di Ovidio.

Nelle Stanze (come nel mito narrato da Ovidio) un ruolo importante è riservato al dio Cupido. Inizialmente devoto solo a Diana, Iulio si sta dedicando alla caccia quando il dio dell’Amore gli fa comparire davanti una cerva. Il giovane la insegue e quando questa lo conduce in un prato fiorito scompare. Al suo posto il cacciatore trova una bellissima ninfa intenta a intrecciare una ghirlanda di fiori. Sarà a quel punto che Cupido interverrà scoccando una delle sue frecce: «[Iulio] Non s’accorge ch’Amor lì dreto è armato per sol turbar la suo lunga quiete; non s’accorge che nodo è già legato, non conosce suo piaghe ancor segrete; di piacer, di desir tutto è invescato, e così il cacciator preso è nella rete». 

La donna angelo

Sulla base del modello dantesco e soprattutto petrarchesco, la protagonista femminile si pone come una classica donna angelo. Bionda e pura, umile ma fiera. Una figura ultraterrena che porta in sé e su di sé i segni della primavera perenne in cui è immersa. I primi elementi che la contraddistinguono sono tutte caratteristiche tipiche dell’angelicata, ovvero la «candida la vesta», l’«inanellato il crin dell’aurea testa» e la «fronte umilmente superba».

Come spesso accade, la donna inizialmente non parla. L’innamoramento avviene solo tramite gli occhi, qui anche chiamati «luce amorose». L’espressione significa occhi che fanno innamorare e completa un discorso inaugurato all’inizio dell’ottava, dalla frase «Folgoron gli occhi d’un dolce sereno». Per Iulio dunque questo sentimento è una folgorazione che lo colpisce agli occhi e gli raggiunge il cuore, schiavizzandolo ma anche migliorandolo.

Il locus amoenus

L’episodio del primo incontro tra Iulio e Simonetta si colloca in un locus amoenus che presenta tutta la simbologia del Paradiso terrestre.  Ci sono i fiori variopinti, gli uccellini che cantano, la luce irradiante, il cielo sereno… Ognuno di questi elementi viene descritto nella misura in cui interagisce con la donna. La foresta le ride intorno, gli augelletti rispondono al suo «parlar divino», l’erba verde le fa da giaciglio e tutti i fiori del prato sono dipinti sulla sua veste e ornano la sua ghirlanda. Si può dire che il giardino edenico più che uno sfondo sia il mezzo per risaltare la sacralità e la delicata sensualità della ninfa. Ma anche una tela eternamente bella e pregiata su cui fissare il ricordo di un giovane uomo che per un brutto scherzo del destino non potrà invecchiare.

Foto di simisi1 da Pixabay

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