William Saroyan e la nuova Itaca

In La commedia umana di William Saroyan c’è Ulisse e c’è Itaca, ma non ci sono né naufragi né sortilegi, né maghe né ciclopi. C’è la vita quotidiana di una cittadina californiana (Ithaca, appunto) che nei primi anni Quaranta del Novecento continua a scorrere normalmente, ma solo in apparenza. Si avverte costantemente l’eco lontano della guerra che ha costretto tanti giovani ha lasciare le proprie famiglie. Incombe sul negozio del droghiere armeno, sulle lunghe attese della signora Macauley, sui furti di albicocche della Società Segreta August Gottlieb, sulle piccole gare sportive tra liceali, sui sonnellini del vecchio signor Grogan nell’ufficio del telegrafo…

Il messaggero della morte

È da quell’eco lontano che viene il messaggero della morte che compare in sogno al quattordicenne Homer Macauley, e in cui il ragazzo si rivede come in uno specchio: «Improvvisamente l’altro si girò, e il ragazzo si stupì perché era identico a lui, mentre aveva la sensazione che fosse il messaggero della morte». 

Quando si è fatto assumere dal signor Spangler all’ufficio del telegrafo, Homer non immaginava che il suo compito sarebbe stato così difficile. I fili del telegrafo sono l’unico collegamento diretto tra Ithaca e la guerra, e l’ufficio del telegrafo è il luogo in cui oltre a consumare fette di torta alla crema di cocco si trascrivono messaggi dal Ministero della Difesa. Frasi corte e sterili che notificano la scomparsa di un pezzo della piccola comunità californiana, divorato da una guerra per Saroyan insensata e contro natura in quanto combattuta da creature della stessa specie. 

L’Ithaca dell’attesa e del ritorno

Spesso le volate in bicicletta di Homer terminano davanti a porte di madri che stanno per ricevere il telegramma che annuncia la morte del proprio figlio. Come quando va dalla signora Sandoval, madre messicana del caduto Juan Domingo. Homer resta sconvolto dalla sua reazione: «Improvvisamente la donna lo prese tra le braccia, dicendo “il mio bambino, il mio bambino!”. Senza capire perché, sopraffatto com’era da tutta la vicenda, si sentì male, gli veniva da vomitare. Non era infastidito dalla donna; quello che le stava succedendo appariva così ingiusto e insensato, che non era neppure sicuro di voler continuare a vivere». Un dolore che Homer prova spesso nel corso della narrazione e che lo fa diventare uomo prima del tempo.

La Ithaca di Saroyan, come quella di Omero, è la terra dell’origine e degli affetti in cui il soldato desidera tornare, ma soprattutto è la casa in cui si attende il ritorno di chi se n’è andato. La signora Macauley, la figlia Bess e la giovane Mary Arena sono le fedeli Penelope che attendono il ritorno dell’Ulisse-Marcus (fratello maggiore di Homer partito per la guerra). Al posto della tela le più giovani intessono canzoni che hanno il sapore della preghiera, mentre la Signora Macauley con i suoi lavori saltuari manda avanti la casa e la famiglia. Ad aiutarla Homer, che dopo la morte del padre e la partenza del fratello maggiore, si è trovato a essere l’uomo di casa.

La curiosità di Ulysses

Homer rappresenta un punto di riferimento anche per il fratellino Ulysses, che oltre al nome con l’eroe omerico condivide una voglia di conoscenza assoluta e travolgente. Ulysses ha solo quattro anni e per lui Ithaca è un immenso mondo da scoprire. Dalla talpa che scava le buche in giardino alla la forma delle uova, ogni cosa lo meraviglia e lo incuriosisce. Le sue avventure sono piccole, ma sono comunque avventure. Con lui la grotta di Polifemo diventa la trappola per animali del negozio del signor Covington; la fuga dall’isola dei Ciclopi diventa darsela a gambe insieme ai ragazzini del quartiere dopo aver rubato un’albicocca acerba.

Il suo Ade invece è l’incontro con il signor Mechano, l’uomo che attacca cartoncini pubblicitari al pannello di una farmacia malandata muovendosi come una macchina. Uomo-macchina ossia uomo vivo a metà, è con lui che Ulysses fa la prima scoperta angosciante della sua vita: «Quando si accesero i lampioni, Ulysses si svegliò dall’incanto in cui la visione del signor Mechano l’aveva sprofondato. […] Intorno restava soltanto la sensazione di qualcosa che non avrebbe saputo descrivere – la Morte».

Il tempo della solitudine

Sconvolto, si fa portare all’ufficio telegrafico dove c’è Homer, il suo porto sicuro. L’affidabilità è una delle caratteristiche più spiccate del giovane postino, quella che gli permette di ottenere il lavoro prima dei sedici anni e di catapultarsi in anticipo nel mondo degli adulti. A suo modo anche lui è un po’ Ulisse. Veste i panni dell’intrepido viaggiatore che si trova a naufragare in una geografia fatta di volti, di storie, di drammi piccoli e grandi che si celano dietro schizzi grafici dai colori vividi. Sono soprattutto loro l’Ithaca di Saroyan: le persone che vi dispiegano la loro tranquilla vita fatta per lo più di abitudini.

Un’Ithaca che tutto sommato resta sempre la stessa ma che a un tratto Homer sente diversa, percorsa da una solitudine di cui non si era mai accorto prima. Solitudine che al tempo stesso isola e unisce i personaggi di una commedia dal finale agrodolce, e che rappresenta la fine dell’infanzia di Homer e l’approdo a una patria nuova. «All’improvviso mi sento diverso – come non mi ero mai sentito prima. […] Mi sento solo e non capisco perché» confida alla madre, e lei risponde: «Tutto è cambiato, per te. In realtà è tutto come prima. Hai sentito la solitudine perché non sei più un bambino. Ma il mondo è sempre stato pieno di questa solitudine».

Fonte foto: justanotherpoint.wordpress.com

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