Un giorno in Pretura

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Nell’immaginario collettivo l’ufficio del Pretore è stato considerato quello di un giudice per così dire popolare, alla portata di tutti, legato alla vita ordinaria e alle sue meno gravi manifestazioni di illegalità.

Narrativa e cinematografia se ne sono spesso occupate in forma ora documentaristica, ora umoristica. Sordi, De Filippo e De Sica ne hanno lasciato memorabili caratterizzazioni. “Un giorno in Pretura” è il titolo comune e ricorrente. La figura del Pretore è qualcosa che, come quella del medico condotto o del maestro elementare, ha fatto parte del vissuto ordinario della società.

Chi era il pretore?

Nell’ordinamento giudiziario il Pretore era il giudice delle cause civili di minor rilievo e dei processi penali relativi ai reati puniti con le pene più lievi.

Era così importante per la vita giudiziaria che nell’immediato dopoguerra, per rimpinguare i ranghi della magistratura decimati dalle vicende belliche, un provvedimento governativo patrocinato da Togliatti, portò all’assunzione senza concorso ma per meri titoli di magistrati destinati alla funzione di Pretore, con una carriera inizialmente separata da quella degli altri magistrati. L’ordinamento si è poi meglio armonizzato ma le Preture e la circoscrizione mandamentale rimasero in vita fino al 1961 allorché furono abolite e sostituite da un ufficio distaccato del Tribunale.

Questo Ufficio, retto da un giudice monocratico (cioè non collegiale), assorbiva la competenza del vecchio Pretore e si collegava funzionalmente alla Procura della Repubblica rispettando la dicotomia costituzionale fra magistrati requirenti e magistrati giudicanti.

Il vecchio Pretore era invece un tuttofare. Lui gestiva il settore civile, lui iniziava l’azione penale, lui portava gli imputati al dibattimento, lui emetteva le sentenze soggette all’appello delle parti. Era chiamato a risiedere nel territorio del mandamento nel quale poteva restare fino alla fine della carriera.

Credo che la riforma fosse inevitabile ma di certo qualcosa di valido ed efficace è scomparso lasciando il posto a strutture più coerenti al sistema ma meno vicine al sentimento popolare, meno inserite nel territorio. Altro era un giudice mandamentale vivente ed operante nella sua sede, altro è un giudice del Tribunale che va in trasferta alcuni giorni al mese o l’ufficio del giudice di pace i cui componenti sono meno selezionati.

È vero che nelle grandi e medio-grandi città la Pretura era un ufficio con molti magistrati in cui si perdevano le caratteristiche speciali di riconoscibilità, di accessibilità e di umana vicinanza del Pretore di provincia, ma nella semplicità della sua struttura e del suo operare era pur sempre un ufficio a misura del cittadino. Nelle piccole città il Pretore come figura professionale coincideva con il Pretore come figura personale, con il dottor Rossi di Varese, il dottor Cargiulo di Agropoli o il dottor Scarfò di Palmi.

Ne derivava un contributo reciproco di comprensione, di fiducia e di rispetto con la popolazione, simile a quello che legava il maresciallo dei carabinieri e i cittadini della locale stazione.

Pretori da ricordare

Al il Pretore anche il semplice cittadino poteva rivolgersi personalmente, gli avvocati avevano contatti costanti anche fuori dalle date d’udienza, e la vita privata del giudice era sotto gli occhi di tutti. Ricordo il caso di un Pretore di Anzio al cui funerale, pur dopo anni dal suo pensionamento, accorse tutta la cittadinanza.

Alle udienze penali del Pretore accorreva il pubblico, non solo quello dei parenti delle parti, ma quello della gente comune che si documentava sull’affidabilità del suo giudice. E spesso l’applauso o i fischi seguivano la lettura della sentenza con il conseguente monito “silenzio o faccio sgombrare l’aula”.

Talora il giudice interloquiva con le parti o con il pubblico come per far comprendere la sua funzione. Un giorno una sentenza gradita fece sentire il commento stentoreo d’un popolano che nel suo linguaggio Pasoliniano commentò “sto giudice è un gran fio de ‘na m…” Ricordo bene quell’episodio perché quel giudice ero io, vicepretore alle prime armi. IL P.M (all’epoca era un avvocato designato dal giudice e officiato per l’occorrenza) chiese l’arresto immediato di colui per oltraggio a magistrato in udienza. Io, come voleva il codice, adottai un provvedimento immediato di archiviazione assumendo che “pur nella sua grossolanità l’espressione del soggetto aveva un intento laudativo”. Il tipo restò interdetto, non capiva, chiese chiarimenti ad un avvocato presente che gli spiegò la cosa. Allora proruppe in un “e lo dicevo bene allora ch’è un gran fio de ‘na m…!”

Altra volta il Pretore condannò per oltraggio a ministro del culto un tale che aveva mandato a quel paese il prete ch’era venuto a impartire la benedizione pasquale nella sua casa e che al dibattimento aveva confermato la sua denunzia. Il Pretore emanò la sentenza di condanna. Poi, mentre l’aula si svuotava, rivolto al prete disse: “reverendo, la giustizia ha fatto il suo corso ma non toccava alla carità metterla in moto!”.

Mi piacerebbe tornare a quei tempi, vorrei sedermi al bar con il maresciallo dei carabinieri, il medico condotto e il maestro elementare e sentirmi con loro umilmente utile e indispensabile.

Foto di Daniel Bone da Pixabay

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