Teorema di Pitagora: è nato prima della sua scoperta da parte del matematico greco?

Il teorema di Pitagora è uno dei principali risultati della geometria euclidea e afferma che, in un triangolo rettangolo (un triangolo con un angolo di 90 gradi), il quadrato della lunghezza dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati delle lunghezze degli altri due lati, detti cateti.

Fin qui, nulla di nuovo. 

La domanda intrigante riguarda l’origine di questo teorema.

Pitagora, il filosofo e matematico greco, è universalmente accreditato della sua scoperta, ma sorgono interrogativi sulla sua reale paternità. E se avesse scoperto qualcosa che esisteva già da prima? 

Pitagora e le teorie sul famoso teorema

Pitagora (580–500 a.C.) visse nel VI secolo a.C., ma è plausibile che il teorema fosse già noto prima della sua epoca.

Uomo assetato di conoscenza, visitò la Siria, la Fenicia, Babilonia e l’Egitto, il misterioso regno delle piramidi. 

Neanche a dirlo, in Egitto rimase affascinato dall’applicazione della geometria delle tombe dei Re, dalla loro perfezione. 

Del resto, la storia ci rivela che gli egizi antichi possedevano una conoscenza avanzata in matematica e geometria, e potrebbero aver utilizzato metodi pratici per applicare il concetto di triangoli rettangoli senza necessariamente formalizzare il teorema di Pitagora.

La domanda dunque sorge spontanea. Non è che gli antichi egizi conoscessero già il teorema di Pitagora, pur non avendogli dato un nome? 

E se lo conoscevano, chi li avrebbe istruiti per realizzare dei monumenti, che, senza l’applicazione precisa del teorema, non potevano essere realizzati? 

Ma andiamo per ordine e cerchiamo di capire a fondo la questione. 

Prove di un’antica conoscenza 

Gli antichi egizi facevano nodi su una corda per formare triangoli rettangoli e angoli retti. Questo dimostra che avevano una comprensione pratica delle proprietà geometriche senza necessariamente formulare il teorema in modo esplicito.

Il Papiro di Rhind, conosciuto anche come Papiro di Ahmes, datato a circa 1650 anni avanti Cristo, è una fotocopia di un antico documento egiziano che dimostra come gli antichi egizi si occupassero di triangoli rettangoli. 

Nel papiro, sono presenti calcoli legati ai triangoli, ma sorprendentemente, non vi è menzione della dimostrazione del teorema di Pitagora.

Questa mancanza di evidenze, potrebbe suggerire che gli antichi egizi avessero un modo pratico di lavorare con triangoli rettangoli senza formalizzare il teorema.

Le piramidi, inclusa quella di Cheope sollevano ulteriori domande sulla conoscenza matematica degli antichi egizi. Anche n questo caso, se non conoscevano il teorema di Pitagora, come avrebbero potuto progettarle e costruirle con una tale precisione matematica, basata sul Pi greco ? Ma il mistero continua… …

Una formula che richiama la struttura dell’universo? 

Passando all’analisi delle connessioni tra il teorema di Pitagora e la fisica moderna, sembra incredibile come questa semplice relazione geometrica abbia attraversato il tempo, inserendosi in contesti scientifici sempre più complessi. 

Einstein ad esempio, ha utilizzato il teorema di Pitagora nella sua famosa equazione dell’energia E = mc2, e la stessa cosa è stata fatta da altri grandi come Isaac Newton (matematico, fisico, astronomo,1643-1727) ed Erwin Rudolf Josef Alexander Schrödinger (fisico austriaco 1887-1961).

Ma il teorema di Pitagora non è solo un’astrazione matematica; sembra essere intrinsecamente legato alle leggi fondamentali che governano il nostro universo.

La sua presenza nel “principio di indeterminazione di Heisenberg, che descrive l’indeterminazione quantistica, è particolarmente affascinante. 

La struttura logica della relazione di incertezza di Heisenberg, secondo cui non è possibile determinare con precisione arbitraria e contemporaneamente due variabili coniugate, può essere infatti vista come un’applicazione del teorema di Pitagora.

Una tale interpretazione potrebbe insomma aprire nuove prospettive sulla comprensione delle fondamenta della meccanica quantistica.

Teorema di Pitagora e fisica quantistica: un linguaggio universale

Inoltre, esplorando ulteriormente le connessioni tra il teorema di Pitagora e la fisica quantistica, sembra emergere una sorta di “linguaggio universale”. Dagli antichi egizi ai fisici moderni, tutti sembrano parlare il linguaggio del triangolo rettangolo quando si tratta di descrivere le leggi fondamentali della natura.

Tutto ciò porta a riflettere sulla possibilità che il teorema di Pitagora sia più di una semplice relazione geometrica. Potrebbe essere una sorta di “codice universale”, una chiave che apre le porte per comprendere le leggi nascoste dell’universo. 

La sua ubiquità nelle diverse discipline scientifiche e la sua persistenza attraverso i secoli alimentano del resto l’idea che potrebbe contenere informazioni più profonde di quanto si pensasse inizialmente.

Continuando a esplorare queste connessioni e ad analizzare il ruolo del teorema di Pitagora in contesti scientifici sempre più avanzati, potremmo scoprire nuove prospettive sulla sua importanza nella struttura stessa della realtà?

Se consideriamo l’universo come un’entità olografica, formata da interazioni complesse tra spazio, tempo ed energia, il teorema di Pitagora diventa il linguaggio con cui possiamo comprendere la relazione quantitativa tra queste grandezze fondamentali? 

E ancora, la quantizzazione che osserviamo nel nostro tentativo di misurare il mondo potrebbe essere una manifestazione della nostra limitata capacità percettiva, piuttosto che una caratteristica intrinseca dell’universo?

Belle domande…

Certo è che, se il teorema di Pitagora fosse veramente il “codice” che collega le grandezze fisiche e la loro misura, allora la natura dell’universo potrebbe essere più profondamente interconnessa a noi di quanto immaginiamo.

Significherebbe che, nella nostra vita, riproponiamo  tutti di numeri dell’universo.

La tesi del ricercatore Corrado Malanga 

Secondo Corrado Malanga, ricercatore nel campo dell’universo olografico e frattalico e sul rapporto tra scienza, coscienza e consapevolezza di Sè, il cervello, essendo un “lettore di ologrammi”, costruisce una stanza, chiamata “orizzonte degli eventi“, che è in interazione reciproca con l’intero universo e il sistema nervoso generato.

L’universo, evidenziato da cerchi anomali nella radiazione di fondo cosmica, è descritto come finito ma illimitato, senza barriere tangibili, grazie a questa stanza adimensionale.

Concetto che può anche essere collegato alla teoria dell’ipersfera e alla sua interazione con la coscienza.

Cosa significa? Tradotto con parole povere, il cervello equalizza le diverse percezioni sensoriali per creare una visione coerente del mondo.

Ad esempio, la velocità della luce, inizialmente misurata a 300.000 chilometri al secondo, potrebbe essere stata adattata dal cervello per renderla più congruente con le sue modalità di percezione, in linea con la legge di Planck di una velocità della luce uguale a 1.

La tesi di Malanga troverebbe conferma in alcuni esperimenti che indicano come la gravità diminuisca con l’aumento della temperatura, portando a considerazioni sulla temperatura come una dimensione simmetrica dell’universo.

La temperatura potrebbe essere insomma legata all’ipersfera, che trasporta il sistema fisico in una quinta dimensione, influenzando la percezione della gravità e la costruzione dell’universo olografico.

Fonti: Corrado Malanga: Il teorema di pitagora

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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