Stevie Ray Vaughan e il suo “Texas Flood”, 40 anni dopo

Stevie Ray Vaughan

Sono passati ben 40 anni da quando l’indimenticabile chitarrista Stevie Ray Vaughan pubblicò il suo grande esordio intitolato “Texas Flood”.

Nato a Dallas, il 3 Agosto 1954, e deceduto il 27 Agosto a East Troy (Wisconsin) a causa di un incidente aereo, viene annoverato tra i più grandi e influenti chitarristi rock-blues degli ultimi 40 anni, nonostante una discografia composta da pochi album.

Nel suo stile troviamo influenze di Jimi Hendrix, Albert King, Johnny Winter, Buddy Guy, tra gli altri, senza però che sia un’imitazione di nessuno di essi perché Stevie Ray aveva un suo stile personale.

Irrompe come un fulmine a ciel sereno negli anni ‘80, dècade dominata dall’elettronica new-wave, quando le sonorità del buon vecchio blues sembravano essere state accantonate. Con l’esordio del 1983, intitolato “Texas Flood”, il chitarrista di Dallas dà ampio sfogo alla sua genialità di fuoriclasse assoluto grazie a una scaletta di 10 brani carichi di grinta e groove. Ad accompagnarlo in questo viaggio ci sono due impeccabili musicisti: Chris Layton alla batteria e Tommy Shannon al basso. Con essi forma il gruppo denominato Double Trouble.

In meno di 40 minuti si viene catapultati in un rock-blues viscerale e sanguigno come l’iniziale “Love Struck Baby”, poderoso brano in perfetto stile rockabilly con echi di Chuck Berry, oppure “Pride and Joy”, pezzo che incarna al meglio l’essenza del disco e che diventerà di diritto un classico del rock-blues contemporaneo, oltre che cavallo di battaglia di Stevie Ray Vaughan. Ottime anche le 3 cover presenti in scaletta: il rhythm n’ blues di “Tell Me”(dal repertorio di Howlin’ Wolf), “Testify”, pezzo che fu degli Isley Brothers, e “Mary Had a Little Lamb” di Buddy Guy.

Tutti questi pezzi valorizzano al meglio le doti chitarristiche del musicista texano. Nel disco c’è anche spazio per delle ottime tracce strumentali, su tutte “Lenny”, omaggio dagli accenti jazzy alla sua donna di allora, Lenora Darlene Bailey, e “Rude Mood”, vivacizzata da un brillante “duello” tra il basso di Tommy Shannon e la chitarra di Stevie Ray.

“Texas Flood”, inciso in due giorni e senza sovraincisioni, otterrà grandi apprezzamenti da parte della critica del periodo per via delle abilità strumentali del musicista texano e anche per aver riportato in auge il blues elettrico in un periodo in cui a dominare il mercato erano i sintetizzatori e le drum-machine. E infatti è anche questa la grande forza di questo lavoro, oltre ad aver esercitato un’enorme influenza su nutrite schiere di musicisti rock-blues nei decenni successivi.

Stevie Ray Vaughan otterrà, post-mortem, l’inclusione nella Blues Hall Of Fame e sarà inserito al dodicesimo posto tra i 100 migliori chitarristi di tutti i tempi secondo la rivista Rolling Stone. La sua carriera, stroncata nel 1990 dal terribile incidente aereo, dopo aver suonato all’Alpine Valley Music Theater insieme a Eric Clapton, Robert Cray, Buddy Guy e il fratello Jimmie, è stata breve ma intensa ed è riuscita a dare nuova linfa al rock-blues contemporaneo, attualizzando sonorità dei decenni precedenti con uno stile di grande maestria ed eleganza. Per i neofiti dell’arte di Stevie Ray Vaughan,  “Texas Flood” rappresenta un ottimo punto di partenza, forte anche della sua freschezza e della sua genuinità, che ci dimostrano come questo disco sia invecchiato bene, come il vino, che può diventare più buono con il passare del tempo. 

Fonte foto: pagina Facebook Stevie Ray Vaughan

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