Scuola: le ragioni dello sciopero

riforma-scuola-2015-sciopero-17-marzo_256819Forse sarebbe più giusto intitolare questo articolo “Le non ragioni del DDL sulla Buona Scuola del Governo Renzi”. Perché i docenti di ogni ordine, grado e appartenenza sindacale, affiancati dai dirigenti, dagli alunni, dai genitori, scenderanno compatti in piazza. Affolleranno in massa le vie delle città e chi potrà si recherà il 5 Maggio alla manifestazione indetta da tutte le sigle sindacali a Roma, per protestare davanti al Parlamento (atto necessario, visto che per oltre vent’anni la maggior parte dei parlamentari sono stati assenti, indifferenti allo smantellamento della Cultura e della Ricerca italiana).

Un Parlamento che non sembra rispondere pienamente al mandato che la costituzione gli assegna: operare al fine di perseguire l’interesse dei cittadini che lo ha votato. Un parlamento che sembra, al contrario, remare contro i suoi elettori, calpestando anche il dettato della carta Costituzionale e primi fra tutti gli art.33 e 34.

Il ddl che il Governo si accinge a varare mira a smantellare del tutto il sistema scolastico nazionale. In questo modo, esso abbatte in un sol colpo la democrazia e la libertà di insegnamento, consegnando i docenti nelle mani di un Dirigente, padre-padrone, che avrà la facoltà di chiamare chi vuole a insegnare, cosa che implica non solo il clientelismo di cui questo paese sembra non poter fare a meno, ma legittima il nepotismo, la raccomandazione e crea scuole di seria A e di serie B. Non solo: creare scuole di serie A e di serie B vuol dire discriminare a priori gli utenti che usufruiscono di quel servizio.

In particolare, il punto centrale dei timori di insegnanti e cittandini risiede nella privatizzazione di una parte delle risorse finanziarie che andranno alle scuole, risorse che nei desiderata del governo proverranno dalla destinazione del cinque permille, ovvero da eventuali donazioni da parte di soggetti privati. E’ proprio qui che risiede il nervo scoperto del modello di scuola che ha in mente il governo: il rischio è che si amplifichino i divari tra le scuole di élite, quelle che già hanno una solida nomea tra i cittadini, e quelle invece meno prestigiose. Se è pur vero che il decreto in esame contempla una quota perequativa per evitare che i divari sopra accennati si amplifichino, la misura prevista è, a parere di molti addetti ai lavori, insufficiente per evitare che il fenomeno più sopra accennato si concretizzi nell’arco di pochi anni.

Oltre a ciò sembrano evaporati i cospicui mezzi che il governo aveva promesso di rendere disponibili per sopperire alla fatiscenza dell’edilizia scolastica. Promesse, nonostante le quali, la situazione non è cambiata affatto rispetto al passato. Anzi, tende a peggiorare.

Un ultimo aspetto concerne la fissazione, già propria del primo governo Berlusconi, di creare un ponte tra scuola e impresa, sacrificando tempo prezioso a vantaggio del training on the job. Uno degli autori di questo articolo non può che portare la propria esperienza personale, sia con riguardo alla professione che a quella delle tante persone che hanno incrociato il suo percorso lavorativo. L’impressione che ne ricava è semplice: l’abitudine ad affrontare argomenti astratti e complessi ha indubbi vantaggi quando uno studente si ritroverà a lavorare rispetto ai tecnicismi di piccolo cabotaggio. Le imprese, soprattutto la galassia delle PMI, non hanno molto tempo da dedicare agli studenti: alla loro formazione in azienda penseranno a tempo debito, mettendo in campo le risorse necessarie nel momento della loro assunzione.

La scuola faccia il suo mestiere e metta gli studenti in condizione di costruirsi un metodo per apprendere i necessari tecnicismi del mondo del lavoro. In un mondo che evolve rapidamente conta più avere un “metodo” di studio ed analisi che conoscere acriticamente una tecnica specifica destinata a diventare obsoleta in tempi assai rapidi. Questo modo di guardare la scuola appare statico, poco incline alla complessità e inconcludente. Su questo punto, non si può che citare il nobel per l’economia Franco Modigliani, che quando andò a studiare economia negli Usa provendendo da studi giuridici e prima umanistici rimase molto sorpreso dall’ammirazione che il mondo accademico americano nutriva nei confronti del nostro sistema scolastico. Un sistema che sembra essere in fase di definitivo smantellamento.

di Angela Santoro e Joe Di Baggio

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