Quanto spendiamo per mangiare?

Secondo l’ultima indagine ISTAT (2019), la spesa alimentare è pari in media a 462 euro mensili a famiglia; la spesa per beni e servizi non alimentari è di 2.110 euro mensili. La spesa media aumenta al crescere dell’ampiezza familiare, anche se in virtù delle economie di scala l’incremento è meno che proporzionale rispetto all’aumentare del numero dei membri. Si tratta di una voce che pesa soprattutto tra le famiglie composte da una coppia con tre o più figli (21,5 per cento della spesa totale).

Ciò che conta è il dato indicante la percentuale della spesa per consumi alimentari sul totale, indice che varia da paese a paese. Se una famiglia spende tanto (in alcuni paesi si arriva a spendere anche il 90% del proprio reddito) per alimenti, è facile comprendere che qualsiasi cambiamento dei prezzi dei prodotti può diventare grave fattore di insicurezza: se il prezzo aumenta del 20%, sono costretto a ridurre la quantità di prodotti acquistati per soddisfare i bisogni della mia famiglia.

Capire i consumi

Da cosa dipendono le decisioni di consumo? In che modo il consumatore prende le proprie scelte? Per rispondere a tale quesito, possiamo ricorrere alla sociologia dei consumi. In base alle statistiche generali e prendendo in considerazione vari fattori quali possibilità economiche, caratteristiche soggettive, consuetudini legate al tempo libero e alla tradizione, possiamo dedurre alcuni elementi teorici che ci permettono di raggruppare i consumatori secondo tipologie di strutturazione dei pasti: 1) scansione temporale dei pasti (quando si mangia), 2) luoghi di consumo dei pasti, 3) cosa si consuma. Tutto ciò rientra in quello che è chiamato “spazio sociale di consumo”.

Ciascun consumatore è libero di scegliere la propria dieta e i propri gusti alimentari, muovendosi autonomamente all’interno del mercato, pur sapendo tuttavia che egli è in qualche modo sempre vincolato da almeno due grandi sfere esterne. Il primo dato riguarda il suo stile di vita (vita lavorativa, vita domestica, vita sociale); l’altro dipende dal sistema di approvvigionamento esistente – food environment (letteralmente “ambiente alimentare”) – volendo intendere con ciò la possibilità di scelta del consumatore limitata ai beni messi a disposizione dal mercato.

Un trade-off con cui in particolare i cosiddetti consumatori “alternativi” si imbattono è la volontà di acquistare prodotti biologici, tuttavia ostacolata dal costo elevato del bene. Il consumatore può tentare allora di “alterare il sistema della distribuzione”: esempio tipico è quello di creare un gruppo di acquisto e rinvolgersi insieme all’agricoltore cercando di ottenere un prezzo più favorevole. Attraverso l’analisi di queste realtà, possiamo capire che esistono da un lato alimenti che caratterizzano e favoriscono la libertà del consumatore, dall’altro lato alimenti che piuttosto ne limitano la scelta.

Liberi di scegliere?

Partendo dal presupposto che il benessere deriva sostanzialmente dalla libertà, il consumatore in grado di scegliere rappresenta la forza trainante dell’economia, poiché stimola a fare meglio – almeno così si spera. Il nostro sistema europeo è basato sulla convinzione che il consumatore è sovrano e la concorrenza benefica, tanto per l’economia, quanto per i consumatori. Questa idea si rifà alla teoria di Adam Smith, secondo cui esiste una mano invisibile del mercato per cui l’egoismo del macellaio rappresenta in realtà il benessere di tutti: se il macellaio A sceglie di competere con altri macellai, egli dovrà impegnersi per spiccare ed essere migliore. In realtà è ormai riconosciuto, in opposizione al concetto provvidenziale di Smith, il bisogno di affiancare una sorta di “mano visibile” a quella invisibile, senza la quale lo sviluppo economico e soprattutto sociale di uno stato sarebbero praticamente impossibili.

Il consumatore è diventato nel tempo un determinante fattore di cambiamento del sistema alimentare. Coglierne le diverse sfaccettature, analizzare i lati del consumo e i fattori che spingono al cambiamento delle diete è oggigiorno fondamentale per il mercato, per le piccole e le grandi aziende. Ci si muove in una realtà così mutevole – sia in termini demografici sia di sviluppo – che alcuni studiosi sono arrivati a parlare di “consumatore ingestibile”.

Il potere del consumatore

Uno dei più grandi problemi che il consumatore si trova ad affrontare è dato dal concetto di libertà di scelta, il quale richiede la garanzia di una capacità di riflessione e decisione consapevole. Per fare ciò, si deve prendere in considerazione il mondo in cui vive il consumatore, tenendo conto non solo di ciò che mangia, ma anche di ciò che pensa, di come vede il cibo, di come ne parla, di come lo vive.

Analizzando perciò i diversi volti del consumatore si può parlare di: consumatore come decisore (come colui che sceglie), di consumatore come comunicatore (oltre a consumare, incoraggia il consumo di altri, discutendone), consumatore come esploratore (colui che innova, fa tendenza), consumatore come colui che cerca un’identità attraverso il consumo (il nostro modo di pensare si traduce in un modo di consumare), consumatore come vittima (vittima di scandalo alimentare), consumatore come ribelle, consumatore come attivista, consumatore come cittadino.

Foto di Divily da Pixabay

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