I dati diffusi dal premier Matteo Renzi (foto) che ha sbandierato, per il 2015, una previsione di incremento del PIL dello 0,9%, poi ritoccata allo 0,8%, indicano veramente un uscita dell’Italia dalla crisi o sono, ancora una volta, dati di pre-campagna elettorale di primavera? Secondo le Cassandre – e le opposizioni – il merito del modesto incremento è dovuto alle iniezioni di moneta immessa dal governatore della BCE Draghi nel sistema bancario europeo. Insomma, per usare una terminologia degli addetti ai lavori, “il cavallo (cioè il sistema produttivo) sta veramente bevendo?”
I realtà l’andamento del credito, quello degli investimenti, la differenza tra l’andamento degli indici dei prezzi e quelli delle Borse dimostrano che, nel continente europeo, la liquidità immessa con il Quantitative Easing dalla BCE non è affluita in modo sensibile nell’economia reale ma è stata utilizzata prevalentemente sui mercati finanziari. Inoltre, il Piano Juncker, che doveva affiancare gli interventi della BCE sul fronte dell’economia reale (315 miliardi in tre anni per centinaia di progetti in tutti i Paesi della UE nei settori più disparati, dalle infrastrutture alle start-up e alle piccole imprese) deve ancora decollare.
I dati europei complessivi sono infatti impietosi. Draghi si era posto come obiettivo di riportare l’inflazione a un livello prossimo al 2%, ma i prezzi sono aumentati solo del +0,1%, con andamento addirittura in calo, negli ultimi mesi. Il dato potrebbe essere “drogato” dalla componente energia, i cui prezzi sono calati del 7,3%, tra novembre e lo stesso mese del 2014 ma, anche escludendo i prodotti energetici, l’inflazione, in Europa, è rimasta pressoché costante: su base annua, a giugno scorso era +0,9%, mentre a novembre è stata +1%. Contemporaneamente, inoltre, la svalutazione sul dollaro – determinata proprio dall’iniezione di valuta europea – ha ridotto comunque, al di là del prodotto energetico, il potere reale di acquisto in euro delle famiglie. E’ forse per tale motivo che si è preferito non procedere oltre nel QE, in modo tale che la quotazione dell’Euro non è scesa al di sotto del rapporto 1,10 per Dollaro USA e non ha raggiunto la parità, abbondantemente prevista per la fine dell’anno. Inoltre, il tasso degli investimenti sul PIL, sempre secondo Eurozona, è caduto dal 23% al 19%, nonostante che il risparmio sia rimasto stazionario attorno al 23%. La disoccupazione su base continentale è addirittura aumentata, passando dall’8,7% al 10,5%. Secondo gli esperti, l’analisi dei dati indica che l’Eurozona accumula sempre più consistenti risorse dall’estero, continua a risparmiare ma non investe: ecco il perché della crescita reale bassa, dell’alta disoccupazione e dell’inflazione prossima allo zero. Insomma, almeno in Europa, “il cavallo” ha bevuto poco.
Da questo punto di vista, la performance dell’Italia è sorprendente. Se è lecito comparare patate con fagioli, il +0,8 del PIL italiano è decisamente superiore al +0,1% dell’aumento dell’inflazione a livello complessivo europeo. Per fare un paragone, negli anni ottanta del secolo scorso, l’incremento annuo del Pil in Italia era intorno al 3% annuo, ma a fronte di un inflazione ben oltre il 10%. Renzi, infatti, mostra il solito ottimismo: “Se l’Italia crede nella ripresa – ha dichiarato, intervistato da Bruno Vespa – nei prossimi mesi le cose andranno meglio. Ciò che può fare il consumo interno che è ripartito, è straordinario. La disoccupazione è calata dell’1,5%, la disoccupazione giovanile del 6%. I posti lavoro sono 300mila in più nell’ultimo anno”.
In realtà le imprese – almeno in Italia – hanno sì una grande capacità produttiva disponibile, ma attendono ancora di saturarla a pieno (cioè di ristrutturarsi, risparmiando sul costo del lavoro e, quindi, assumendo poco o nulla) prima di fare nuovi investimenti. Questo perché la domanda interna, indispensabile per sostenere la capacità produttiva delle imprese, risulta ancora castigata congiuntamente dalle politiche europee fiscali, salariali e valutarie, nonostante gli interventi di Draghi. Il sistema bancario europeo che dovrebbe finanziare gli investimenti, infatti, è bloccato dagli assurdi vincoli sui mutui, per il timore di innescare una nuova bolla dei prezzi degli immobili. Inoltre, gli Stati sono vincolati dal Fiscal Compact al pareggio strutturale e, quindi, anche gli investimenti pubblici sono penalizzati. Quindi, se “il cavallo” ha bevuto poco, ciò è dipeso dal fatto che “l’acqua”, fornita soltanto dalla BCE e non dal sistema finanziario ed economico complessivo, è stata insufficiente.
L’Italia, ma non solo l’Italia, tutto il sistema economico-produttivo europeo dovrebbe sollecitare una profonda riflessione sulle politiche dell’Eurozona perché a Bruxelles o a Francoforte non hanno ancora le idee chiare sulle strategie da adottare nei prossimi anni. Il Fiscal Compact ha imposto una riduzione dei debiti pubblici ma gli istituti di credito privati non sono riusciti a sostenere da soli l’indebitamento degli operatori economici e produttivi, indispensabile per gli investimenti e la crescita. Va deciso una volta per tutte se si debba proseguire nella riduzione del livello di indebitamento complessivo delle istituzioni finanziarie, soprattutto del debito pubblico, perché eccessivo rispetto al prodotto interno, al reddito delle famiglie ed al fatturato delle imprese, oppure se l’indebitamento, in Europa e, quindi, in Italia, possa ancora aumentare.
Nell’attesa di tale lunga riflessione, a noi ci resta almeno la considerazione che “il cavallo” italiano non si è poi rivelato tanto “brocco”.
foto: Wikipedia Commons
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