Pietre d’inciampo. Il dovere della memoria e la necessità di capirne il significato

pietre d'inciampo

Sono più di 100.000 in 31 paesi europei. Dallo scorso 7 ottobre, la guerra in Terra Santa ne mette a dura prova l’insegnamento e rende fragile il monito che portano con sé.

La memoria è effimera, evanescente. Tende per sua natura ad estinguersi. Per durare deve manifestarsi attraverso la materia, ha bisogno cioè di materializzarsi. I memoriali possono essere realizzati con materiali diversi, avere forme e dimensioni diverse, ma il messaggio che trasmettono rimane lo stesso. Lo scopo rimane lo stesso: il ricordo. Che siano statue, giganteschi monumenti, musei o minuscole pietre, il concetto non cambia.                                   
Uno degli eventi storici intorno al quale si è sentito maggiormente il bisogno di tramandare la memoria è senza ombra di dubbio l’Olocausto. Libri, musei, memoriali, manifestazioni di ogni tipo sono stati espressione concreta della volontà e dell’impegno categorico di non dimenticare.

Il 7 ottobre scorso Hamas, organizzazione politico-militare palestinese di stanza nella Striscia di Gaza, ha compiuto un’incursione in territorio israeliano uccidendo 1300 civili con indicibile violenza e crudeltà. Parte del mondo occidentale considera Hamas un’organizzazione terroristica. La reazione di Israele non si è fatta attendere. Fino ad oggi, 25 gennaio, bombardamenti aerei, colpi d’artiglieria pesante, incursioni delle truppe israeliane nei quartieri dei centri abitati hanno provocato almeno 25.000 morti. La determinazione a liberare gli ostaggi e ad annientare Hamas, ha provocato una delle crisi umanitarie più gravi del XXI secolo. 

La condanna di Hamas per la responsabilità della strage di innocenti del 7 ottobre è fuori discussione, ma la reazione israeliana è parimenti condannabile. Dopo quasi 4 mesi le morti causate da Israele suscitano sdegno e condanna e sono molte le organizzazioni umanitarie e i governi che hanno denunciato, anche in sede ONU i metodi israeliani. Molti affermano che è in corso una nuova pulizia etnica. Lo storico israeliano Ilan Pappe lo ha affermato in tempi non sospetti. Nel 2006 ha pubblicato il libro “The Ethnic Cleansing of Palestine” nel quale lo dice chiaramente. Il tema è controverso e divisivo e non vogliamo alla vigilia del 27 gennaio, giornata della memoria internazionale delle vittime dell’Olocausto, addentrarci in una discussione che comunque sarebbe meritevole di un approfondimento. Detto ciò possiamo almeno porci alcune domande e ripercorrere brevemente gli eventi storici.  

Fino a che punto e in quale misura il diritto di difendersi è giustificato e legittimo e quando diventa abuso deliberato dell’uso delle armi, sopraffazione per mezzo della superiorità militare? E, soprattutto, come si è potuti arrivare al punto di avere due popoli in costante conflitto per un pezzo di terra?

Lo Stato d’Israele è nato nel 1948 a seguito di una risoluzione delle Nazioni Unite. Il mondo arabo si oppose ed entrò in guerra contro Israele. Contemporaneamente cominciò l’esodo forzato dei palestinesi. Circa 700.000 furono costretti a lasciare la loro terra e al termine dei combattimenti si videro negare il diritto a ritornare nelle loro case. Con la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda, gli equilibri del mondo sono fortemente cambiati e mai come oggi la questione palestinese ha rappresentato una minaccia per la pace mondiale.

Da quando la reazione israeliana contro Hamas è cominciata, in Europa e nel mondo ci sono state anche manifestazioni di antisemitismo. A Roma, a Trastevere agli inizi di novembre alcune Pietre d’inciampo, in tedesco “Stolpersteine”, sono state vandalizzate.
In questo articolo vogliamo sottolineare il contributo che questi minuscoli memoriali, collocati sui marciapiedi di numerose città europee, danno alla memoria collettiva. Nel contempo, e nella consapevolezza di quanto la questione palestinese sia spinosa e controversa, vogliamo evidenziare il rischio che l’attuale guerra (non c’è altro modo per chiamarla) in Terra Santa possa scalfire l’importanza della memoria e indebolire le iniziative come quelle che hanno portato alla realizzazione delle Pietre d’Inciampo.

Lo faremo raccontando come sono state concepite e, sia pur brevemente, la storia di sei vittime in memoria delle quali altrettante pietre sono state collocate nella città di Bamberga.
Il 6 maggio 1990, con una striscia di vernice lunga 12 chilometri e stesa da una macchina a ruota da lui stesso appositamente costruita, l’artista tedesco Gunter Demnig tracciò il percorso lungo il quale 50 anni prima erano stati deportati mille Sinti e Rom nel Lager della Fiera di Colonia. L’iniziativa aveva lo scopo di rendere visibile ciò che era stato dimenticato e che rischiava di andare perduto per sempre.

La deportazione di Colonia del maggio 1940 fu una prova generale per la deportazione degli ebrei. Il 16 dicembre 1992, nel 50° anniversario dell’ordine di deportazione degli “zingari”(il cosiddetto “Decreto di Auschwitz” di Heinrich Himmler), Demnig collocò davanti al municipio di Colonia la prima pietra con una targa di ottone e un’iscrizione che riportava le prime righe del decreto mentre nel corpo cavo della pietra era contenuto l’intero testo. Il collocamento avvenne senza l’autorizzazione delle autorità comunali: “Ci furono dei problemi, ma la pietra rimase nel terreno. Non osarono sradicarla”: raccontò poi l’artista. Da quel 16 dicembre 1992 ad oggi sono state collocate più di 100.000 Pietre d’Inciampo. La n. 100.000 è stata collocata il 26 maggio 2023 a Norimberga. In Italia la prima pietra è stata collocata a Roma nel 2010. Oggi nella sola capitale ce ne sono 249.

Ma veniamo a Bamberga. Ci siamo stati nello scorso mese di novembre. Lungo la strada che unisce la stazione al centro storico della città è possibile imbattersi in diverse Stolpersteine. Chi scrive non le aveva mai viste prima. Ne abbiamo fotografate alcune e successivamente abbiamo fatto una ricerca per scoprire a chi appartenessero quei nomi, per conoscerne le storie, per raccontare le vicissitudini che ne segnarono il destino. 

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Albert e Frieda Sulzbacher, Elise Kupfer, Hildegarde, Heinz e Hans Thomas David Löwenherz abitavano nella Sophienstraße al numero civico 12. La strada, che oggi ha nome Willy-Lessing-Straße, confinava con la Sophienbrücke. Come tutti i ponti di Bamberg sul Canale Meno-Danubio, nel 1945, pochi giorni prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, fu fatto saltare per fermare l’avanzata delle truppe americane.
Albert Sulzbacher e Frieda Sulzbacher, si erano sposati nel 1937. Inizialmente commerciante di luppolo, dall’inizio degli anni 30 Albert era diventato rappresentante di prodotti alimentari, coloniali e tessili fino al 1938. A seguito del Pogrom fu arrestato il 10 novembre 1938 e portato nella prigione del tribunale regionale di Bamberg. Fu poi rilasciato. Insieme alla moglie Frieda il 9 settembre 1942 fu deportato da Bamberg a Theresienstadt. Albert vi morì l’11 gennaio 1943, Frieda il 14 febbraio. 
Elise Kupfer, nata Heßlein, era la figlia di Josef Heßlein, commerciante di pelletteria, e di Paula Werner. Era stata moglie del Dr. Julius Kupfer, dentista, morto il 1° gennaio 1930. Il 3 maggio 1939 era fuggita in Olanda. Visse ad Amsterdam. Deportata ad Auschwitz, fu assassinata il 26 ottobre 1942. 
Hildegard Löwenherz era la figlia di Julius Kupfer e di Elise Kupfer. Maestra d’asilo e con un diploma statale di pedagoga, a Bamberg aveva fondato il “Privatkindergarten Kupfer”. Sotto la pressione dei nazionalsocialisti dovette chiudere l’asilo. Nel 1933 fuggì in Olanda e il 12 giugno sposò ad Amsterdam il fotografo Heinz Löwenherz. Hildegard Löwenherz e suo figlio Hans Thomas David (nato il 12 aprile 1937 ad Amsterdam) furono deportati ad Auschwitz via Westerbork il 23 ottobre 1942 e assassinati. Heinz Löwenherz fu deportato ad Auschwitz il 9 febbraio 1943 e assassinato il 30 aprile 1943.

Le informazioni sopra riportate le abbiamo tratte dal “Libro commemorativo dei cittadini ebrei Bamberg” vittime del terrore nazionalsocialista 1933-1945 pubblicato dall’Associazione per la Promozione la storia e la cultura ebraica di Bamberg. Di seguito alcuni brani dell’introduzione (la traduzione è nostra):

“Il libro commemorativo è innanzitutto un libro di morti. Vengono menzionati i nomi di tutti coloro che ebbero legami con la città di Bamberg e che caddero nella macchina della persecuzione degli ebrei sotto il regime nazionalsocialista in Germania. Molte di queste persone non hanno una tomba.
Il libro da informazioni sulla loro origine, brevi notizie sulle loro attività e, se disponibili, le loro foto danno loro un volto. Ove possibile, vengono identificati anche i rapporti familiari tra le vittime e altre famiglie. Ciò rende chiaro anche come intere famiglie siano state sterminate brutalmente…

Questo libro memoriale vuole essere parte della cultura del ricordo. Ricordare è più che essere “ricordati”: ricordare è una conquista del vivere; fa rivivere nei pensieri il passato e le persone, affinché il legame con i defunti possa essere recuperato. Si tratta innanzitutto di un atto individuale, ed è particolarmente significativo per i discendenti delle vittime…

La Germania celebra due giorni della memoria, il 9 novembre e il 27 gennaio, Giornata della memoria dell’Olocausto. Due giorni che rischiano di perdere significato se non sono legati alla memoria individuale e sociale. Con riguardo alle generazioni future, ciò comporta raccontare e tramandare”.

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Pietre d’inciampo dei Sinti, a Bamberga

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