Panem et Circenses

Fu Giovenale (Satire, 10 81) a coniare questo sistema, meccanismo di potere influentissimo sulle masse romane. Questo poeta fu un grande autore satirico: amava descrivere l’ambiente in cui viveva, in un’epoca nella quale chi governava si assicurava il consenso popolare – un po’ come, secondo alcuni, accade anche oggi – con elargizioni economiche e con la concessione di svaghi (in questo caso le attività circensi che si svolgevano negli anfiteatri) coloro che erano governati.  “Panem et Circenses”, letteralmente “pane e giochi” era la formula del benessere popolare e quindi politico: distribuzione di generi alimentari, bagni e terme pubbliche da un lato, gladiatori, belve esotiche, corse coi carri, competizioni sportive e rappresentazioni teatrali dall’altro lato. Un vero strumento in mano agli Imperatori per sedare i malumori popolari, che col tempo ebbero voce proprio in quei luoghi di spettacolo. L’area dei Fori era, prima della costruzione degli edifici relativi alle funzioni di centro amministrativo della città, teatro di combattimenti tra gladiatori. Attorno alla piazza del Foro Romano erano state costruite delle tribune riservate a spettatori di riguardo, escludendo i ceti poveri. Caio Gracco successivamente fece demolire le tribune guadagnando il favore dei cittadini comuni. L’organizzazione dei giochi era l’occasione per scalare i vertici della popolarità politica: questo meccanismo degenerò in spettacoli così sfarzosi da divenire “folli”, come descritto poi da Livio. Cesare, in gioventù, era famoso per la magnificenza dei giochi da lui organizzati. I suoi avversari politici furono preoccupati dall’ambizione di questo nuovo avversario, ma egli riuscì a farsi la fama di generoso amico del popolo. Cesare organizzava questi giochi facendosi prestare molto denaro, che fu poi ben investito nella propaganda che lo portò ad assumere cariche che gli permisero di restituire fino al centesimo tutto i soldi ricevuti in prestito.  Il pubblico, coi tempi, diventò sempre più esigente e si arrivò a organizzare spettacoli sempre più belli e costosi: Ottaviano Augusto, figlio adottivo di Cesare, principe di Roma, organizzava giochi “straordinari” dove si battevano 10.000 uomini e 3.500 belve africane. Anche Traiano, nel 107 d.C., in occasione della vittoria contro i Daci, organizzò combattimenti con oltre 10.000 gladiatori in un periodo di feste lungo 123 giorni, durante il quale furono uccise 11.000 belve. Questo record non fu mai superato, dato che Traiano in quella guerra fece suo un bottino di 10.000.000 di chili d’oro, 20 milioni di chili d’argento e 500.000 schiavi. Per estensione, la locuzione è stata successivamente usata, soprattutto in funzione critica, per definire l’azione politica di singoli o gruppi di potere volte a attrarre e mantenere il consenso popolare mediante l’organizzazione di attività ludiche collettive. Con intenzione simile, si è usata l’espressione “Feste, farina e forca” per definire la vita nella Napoli del periodo borbonico, in cui all’uso di feste pubbliche e di distribuzioni di pane si accompagnava la pratica di numerose impiccagioni pubbliche come dimostrazione della capacità del potere politico di assicurare il mantenimento della legalità. Dalla storia non si vuol proprio imparare….. povera Italia, con il pane che aumenta e con il “circo” sempre meno sicuro, c’è ancora chi cerca il consenso popolare…, ma per favore non offendete la nostra intelligenza.

Leonardo Comple

Foto: http://pensieroliberale.ilcannocchiale.it

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