Noa, “Vincere o Imparare”

Tutto il mondo racconta di come io mi sia lasciata andare a soli 17 anni, avendo ancora tutta la vita davanti. Dopo un bel giro di disinformazione, ora sembra che tutti i media siano più o meno concordi nel riconoscere che non si è trattato di eutanasia. Non è stato un gesto impulsivo il mio, bensì una scelta da lungo tempo ragionata. « Respiro ancora, ma non sono più viva. Sopravvivo. Ho smesso di bere e di mangiare. Tra circa 10 giorni credo che morirò. Dopo molte discussioni e valutazioni hanno acconsentito a lasciarmi andare. Non cercate di convincermi, amare è lasciare andare ». Dopo aver lottato insieme a me e contro la mia stessa volontà talune volte, anche i miei genitori hanno deciso di ascoltarmi. Così ho potuto chiudere i miei occhi, forse belli ma davvero stanchi, nel salotto di casa mia, accanto alla mia famiglia. Eppure ci sono anche tante cose belle che non sapete di me, forse perché i giornali non ne parlano.

‘10 cose su di me’ (Instagram, 22 agosto 2018)

1. Sono vegetariana da 7 anni
2. Ho una grande passione per gli animali (specialmente per le cavie peruviane)
3. Amo il ‘colore’ nero
4. Sono leggermente dipendente da “Aliexpress”
5. Ho speso circa tre anni lavorando al mio libro “Vincere o Imparare”
6. Amo molto la musica de I Genesis
7. Il titolo “Vincere o Imparare” si ispira ad un socioterapista della clinica, questa era una delle sue massime. Il mio libro spiega di più al riguardo
8. Questa foto è stata scattata presso la fattoria dove lavoro
9. La pubblicazione del mio libro è in corso, lo trovo eccitante ma soprattutto molto divertente
10. Adoro suonare il piano, in particolare la canzone “Comptine d’un autre été”

« E poi vinci il premio per il miglior libro » (Instagram, 24 marzo 2019)

Nel suo libro Noa prova a spiegare come non sia rimasto più nulla nella sua vita, cosa significhi vivere il nulla e nel nulla. Noa racconta del suo male di vivere, del suo dolore ormai insostenibile; ripercorre i suoi ricordi dando una forma a flussi incontenibili solitamente in grado di attraversare il cuore e l’anima, ma non un foglio di carta. Eppure ci prova, attraverso la scrittura, che è catarsi. Scrive di sale d’aspetto e di letti d’ospedale, dell’incubo delle bilance, del cuore che palpita mano a mano che quell’asticella sale e della soddisfazione che prova quando l’asticella si ferma confermando un mezzo chilo in meno rispetto al peso del giorno precedente. Ma è stanca, esausta. «Penso che il mio sottopeso non sia così grave e che la mia intera malattia non sia così grave. Se lo volessi davvero, potrei mangiare di nuovo. Ma non lo voglio, perché poi ingrasso e con me il grasso è brutto. Le altre persone possono essere grasse e belle, ma non io. Io assolutamente no. Un maiale in vista, questo sei » .

La chirurgia dell’anima, la più difficile

Noa ritiene che ci sia dell’altro da curare, altro che sembra impossibile trattare osservando una bilancia, indossando un camice o rimanendo a letto bloccata e sorvegliata, per evitare che si faccia ancora del male. Nel suo libro, Noa espone anche una denuncia al mondo della psichiatria olandese: un sistema in grado di accompagnarti dolcemente verso la morte ma non altrettanto da assistere un malato mentale e tenerlo in vita. «Se hai un problema cardiaco in due giorni ti operano. Se hai un problema mentale, aspetti due anni per un posto in clinica », scriveva Noa, in attesa di poter essere ricoverata in un centro di salute mentale.

Perché curare la depressione, l’anoressia, impedire l’autolesionismo, lenire le ferite e farle rimarginare, sono l’emergente che si è manifestato, ma come si fa a scavare sotto e ad andare oltre? A quali chirurghi dell’anima bisogna rivolgersi? Su questi bisogna puntare ed investire.

« Oggi ho presentato il mio libro. E’ stato un giorno speciale. C’erano così tante persone adorabili » (Instagram, 3 novembre 2018).

” Don’t make it bad, take a sad song and make it better “(The Beatles)

Non crediamo e non vogliamo credere che Noa non abbia mai preso in mano la triste colonna sonora della sua vita nel tentativo di renderla migliore. Crediamo piuttosto che ci abbia provato, che abbia anche creduto di farne un capolavoro, un trionfo di vita, anche quando lo sentiva insostenibile, insuperabile, ma che poi … Ma che poi non si possa dire altro. Possiamo esprimerci sulle leggi, sui provvedimenti, sui servizi e sulle capacità di assistenza in Olanda, sull’effetto che un paese senza montagne possa avere sull’umore e alla vista di chi vi abita, ma non ci è riconosciuto il potere di giudicare l’angoscia dell’animo umano.

Il suo corpo era stato gravemente violato per ben due volte, in soli 17 anni di quella che dovrebbe essere una candida e spensierata vita adolescenziale: la prima volta all’età di 11 anni, durante una festa scolastica, la seconda quando ne aveva 14, passeggiando nel tranquillo distretto olandese di Arnhem, viene aggredita e stuprata da due uomini. Da allora il suo calvario irreversibile: disturbo da stress post-traumatico, anoressia, autolesionismo, depressione. Noa non ce la fa più. Noa non sopporta più l’incubo di svegliarsi tutte le mattine nella consapevolezza di trovarsi a rivivere, all’improvviso, quei traumi e quei terribili ricordi. Il dolore, il ribrezzo per il proprio corpo, la vergogna, il senso di colpa la accompagnano quotidianamente. Si sente sporca, deturpata, violata e deprivata, come il suo corpo difatti lo è stato, così come la sua adolescenza.

L’angoscia può essere o diventare un male terminale?

Così Noa aveva optato per la “soluzione” di fine vita riconosciuta dal suo paese, l’Olanda, contattando una clinica per l’eutanasia, all’insaputa dei suoi genitori; nonostante le diverse ospedalizzazioni e i ripetuti tentativi di suicidio, la sua richiesta era però stata negata. I medici ritenevano infatti che la ragazza dovesse prima portare a termine il percorso psicoterapico, aspettando il completo sviluppo e tornare non prima dei suoi 21 anni.
Ma morire non è stata l’unica richiesta da parte di Noa, che pure aveva cercato ed accettato di essere aiutata, nella sua lotta per la vita. I suoi genitori avevano dapprima optato per un coma farmacologico, permettendo così un’alimentazione forzata per la ragazza, così come ricoveri presso diversi centri per adolescenti, che tuttavia non erano stati sufficienti a tirare fuori Noa dal buio abissale, ad accettare la perdita di una parte di sé.

« Ho ricevuto il via libera per la terapia elettroconvulsiva. Inizierò a gennaio. Spero funzioni ». (Instagram, 22 dicembre 2018).

Qui fermiamoci tutti

E se l’accettazione è la chiave per affrontare la perdita, probabilmente Noa aveva ancora bisogno di tempo. Lo stesso tempo che verosimilmente le si era parato davanti provando ad immaginare la soglia dei 21 anni, quando aveva ricevuto il no per l’eutanasia. Un tempo che non aveva o che non aveva più, che forse non voleva più avere.  Difficile dubitare che Noa desiderasse davvero vincere, vincere sulla morte, ed imparare, imparare a vivere. Non sappiamo se Noa abbia vinto o imparato. E non siamo noi a doverlo stabilire, nessuno può. Probabilmente ha imparato a non voler vincere sempre.

Noa ha lottato per riappropriarsi del proprio corpo, per imparare a non sentirsi sporca, per recuperare e compensare in parte ciò che le era stato portato via. Noa ha stretto i denti e chiesto aiuto per questo. In parte quell’aiuto era arrivato. Forse non è stato abbastanza, forse non è stato efficace. Quello che sappiamo è che nonostante tutti gli sforzi, Noa non era riuscita a superare il trauma di quelle violenze, e neppure i suoi genitori ad un certo punto se la sono sentita di forzarla, andando contro la sua volontà. Si sono fermati.

Qui ci fermiamo anche noi. Facciamolo tutti.

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