Maria e Giuseppe, emblema di ogni famiglia umana

presepe

A poche ore dal Natale la liturgia ci fa celebrare la festa della S. Famiglia, invitandoci a fissare lo sguardo non solo su Gesù, ma anche su Maria e Giuseppe, emblema di ogni famiglia umana. E anche oggi, come nel giorno di Natale, siamo invitati ad adorare la pienezza del Mistero: Dio che nasce da una donna e sceglie di diventare membro effettivo di una famiglia propriamente umana, con una residenza, un domicilio e uno stato civile. Così facendo, Gesù ha santificato la dimensione familiare, rivelandone in maniera esplicita la sua vocazione e la sua missione. Il Concilio Vaticano II ha trattato molto il tema della famiglia, anche in termini abbastanza lungimiranti. Il Concilio, analizzando tutte le sue dimensioni, ne ha sottolineato i vari aspetti, ad ogni livello. È trascorso tanto tempo da quando è stata celebrata questa grande assise, tuttavia i suoi pronunciamenti in merito sono ancora molto validi. Questa festa odierna è un occasione propizia, quindi, per riflettere. Il soggetto principale “dell’istituzione famiglia” è rappresentato dai coniugi, chiamati ad essere “l’uno per l’altro e per i figli testimoni autentici dell’amore di Cristo” (Lumen Gentium, 35). Ci viene evidenziata, dunque, la sua dimensione profetica. La famiglia cristiana, cioè, con il suo modo di vivere “proclama ad alta voce tutte le virtù del Regno di Dio” (ibid.). A questa realtà profetica è strettamente legato il bene della società, unito in maniera indissolubile alla “buona salute” della famiglia (Gaudium et Spes, 47). Ecco perchè la Chiesa, a partire dal suo piccolo, è impegnata su vari fronti a difenderne, ma anche promuoverne, “la dignità naturale e l’altissimo valore sacro” (ibid.). Ed oggi, in questa prima domenica dopo Natale, il vangelo ci propone proprio l’icona di una famiglia, una famiglia però che è in pericolo. I tre personaggi, gravemente minacciati da Erode, debbono mettersi in salvo. Questa immagine ci rivela un aspetto che non è assolutamente da sottovalutare: la S. Famiglia di Nazareth era sì, santa, ma non per questo immune da difficoltà. In questo caso singolare i nostri tre scappano, ma in un’altra circostanza Maria non ricusa di rimproverare Gesù perchè si era smarrito a Gerusalemme; in un’altra ancora, ma più avanti negli anni, i parenti e i familiari di Gesù lo cercano per riportarlo a casa, perché dicono: “È pazzo!” Questi sono tutti episodi che ci parlano di una famiglia come tante altre ma “straordinaria nell’ordinarietà”, eccone la santità! La famiglia, soprattutto in questa precisa epoca storica, non è il luogo della perfezione, tuttavia in essa possiamo attingervi l’amore umano, quello, sì, intriso di fragilità ma anche quello che è bello ed intenso. Cosa ci insegna la S. Famiglia di Nazareth? Pur essendo vissuta due millenni fa, e quindi di diversa mentalità, ci insegna subito ad andare contro corrente e, quindi, a rigettare l’immagine di quel nucleo familiare che per es. emula le dinamiche tipiche di un autogrill, luogo in cui si mangia e dal quale poi subito si scappa; quella cristiana non è una “famiglia-caserma” nella quale c’è chi ordina e c’è chi deve eseguire; quella di Nazareth non è una “famiglia-albergo” nella quale tutto è ordinato, ma non c’è vita; non è neanche la “famiglia-sky_tv” nella quale il padre vuole guardare il calcio o il telegiornale e tutti gli altri devono fare silenzio. In questi termini capiamo che la famiglia cristiana è gravemente minata nella sua dignità perché non si presenta più come “scuola di gioia autentica”, non è più luogo privilegiato dove si impara a crescere. Purtroppo essa veste i panni di un ambito nel quale far risaltare sempre più il proprio egoismo ed il culto dell’individualismo. La prima lettura, tratta dal libro del Siracide, tratta un tema ben preciso: il rispetto verso i genitori. Viene offerto a noi un vero e proprio commento al quarto comandamento: “Onora il padre e la madre”. Qui l’onore non è una generica venerazione ma un vero impegno, fatto di amore, di passione, di devozione e di sostegno. Ma rappresenta anche un obbligo morale oltre che religioso; infatti, disprezzare i genitori significa bestemmiare contro Dio stesso. A questa dimensione si riallaccia il monito di S. Paolo ai Colosessi, espresso nella seconda lettura. Il cristiano, infatti, deve considerarsi una creatura risorta e quindi tutta protesa ad esercitare la sintesi più alta di tutte le altre, l’amore. L’amore infatti, è il nodo d’oro che tiene insieme tutti i nostri atti e le nostre scelte. Solo così può sbocciare la pace interiore che all’esterno si manifesta con la lode, intessuta di salmi, inni, canti ispirati e attraverso un’esistenza intesa come una vera e propria celebrazione in onore di Dio Padre, perché è tutta animata dalla Parola di Cristo e dalla sua presenza efficace in mezzo a noi. Si ha, poi, come nella lettera agli Efesini, la definizione di una “tavola” dei doveri familiari. È un piccolo codice degli impegni che i battezzati devono praticare per offrire la propria testimonianza di fede. Si noti il rilievo che si dà alla reciprocità tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra padroni e servi, così da far risaltare sempre più la virtù dell’amore. Preghiamo perché la famiglia cristiana possa ritornare ad essere la scuola della crescita umana. Partendo dall’educazione, così come ci chiedono gli orientamenti della Chiesa per il prossimo decennio, si miri a sanare la fragilità della coppia; scompaia l’incertezza dalla relazione genitori-figli; si sani il grande divario tra le generazioni e, quindi, ripartiamo dalla famiglia per ritrovare la bellezza della nostra fede.

Fra Frisina  

Foto: pensierolibero.eu

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