L’otite a New York City

Ho l’otite. È un fatto che, di per sé, non avrebbe attratto nemmeno la mia di attenzione, se non fosse che ho l’otite qui, a New York City, e questo rende le cose diverse e complicate.

Non ho mai avuto disturbi all’udito ma quando, un sabato pomeriggio, ho iniziato a provare un senso di sordità ad un orecchio ed un po’ di dolore, ho ricordato che l’acqua della piscina dove avevo nuotato pochi giorni prima non era limpida e mi sono fatta la diagnosi.

Se fossi stata a Londra o a Roma avrei telefonato al mio unico medico di fiducia, mio padre, gli avrei raccontato i sintomi e lui mi avrebbe detto cosa fare.

Invece sono a NYC, a Roma è mezzanotte e non posso chiamare mio padre per dirgli che mi fa male un orecchio perché è sicuro che mi manda a quel paese; il fastidio, però, cresce e qui, isolata da tutti e con Ammi che continua a chiedermi “Stai male? Stai male?” inizio a provare un senso di dolore crescente misto all’ansia che l’otite non sia un’otite ma un’infiammazione che si sta diffondendo dall’orecchio al cervello e mi sembra di sentire la testa pulsare ed il collo dolere e visualizzo il pus strisciare nelle mie meningi ed invadere il cranio. Ecco, questo era all’incirca il mio stato d’animo nel momento in cui ho parlato con il dottore che chiameremo Taccisua, il medico dell’assicurazione tramite la quale ho prenotato una visita telefonica (l’opzione ❛visita dal vivo❜ non c’era).

Il dott. Taccisua mi chiede nome, cognome, età, altezza, peso e dove mi trovo in quel preciso momento; la localizzazione è importante perché se sono a NYC posso godere del meraviglioso servizio assicurativo acquistato, obbligatoriamente, prima di partire, se invece sono altrove non è detto.

Terminati i convenevoli, il dott. Taccisua mi chiede conferma di quello che ho scritto prenotando la visita:

“Sono andata in piscina tre giorni fa e adesso mi fa male l’orecchio destro e mi sembra di sentire  poco.”

“Hai dolore?”

“Un po’.”

“Hai febbre?”

“No.”

“Prendi un antinfiammatorio per bocca e delle gocce per le orecchie in farmacia e se poi non passa mi richiami.”

“Ma cos’ho?”

“Un’infiammazione, probabilmente” e a me il “probabilmente” non rassicura affatto.

“Da ieri ad oggi il fastidio è aumentato molto, non credo passerà. Mi prescrivi una medicina vera?”

“Non ti prescrivo gli antibiotici perché è presto.”

Sarà presto per lui, ma per me è già tardi: l’orecchio mi pulsa ed è sempre più tappato ed io già mi vedo ricoverata per una grave infezione dell’encefalo diffusasi dall’orecchio.

Ammi entra nella telefonata facendosi portavoce delle mie richieste, anche perché, sebbene io parli come parlo, il Dott. Taccisua non ha nessuna pietà del mio semi-analfabetismo e si esprime a velocità supersonica, mangiandosi metà delle parole che io, già in partenza, capisco a metà.

“Dice che non ti prescrive niente.” mi ripete Ammi.

“It’s a virus and it will go away” sento dire a Taccisua

“Ma non passa! E sono stata in una piscina sporca, non potrebbe essere qualcos’altro?” domando.

A questo punto Taccisua sclera, per dirla alla romana:
“Non voglio perdere tempo con te. Richiama tra due tre giorni se hai ancora disturbi.” ed ha attaccato. Tele-visita terminata in tre minuti. Lo volevo strangolare ma ormai era tardi per fare qualsiasi cosa. 

Appena il fuso lo consente, parlo con mio padre che mi dice:

“E che vuoi da me? Fatti dare delle gocce al cortisone.”

“Non me le danno.”
“E allora aspetta e speriamo ti passi.”

Così, abbandonata da tutti, sempre più sorda e con la certezza che un’infezione si stesse diffondendo in tutto il mio corpo, sono entrata in uno dei tanti centri medici e ho chiesto di essere visitata da un otorino. Costo della prestazione: 227 dollari, in massima parte coperti dall’assicurazione. 

Dopo 10 minuti di attesa, un’infermiera molto cortese mi fa accomodare e mi pone le domande di rito, nome, cognome, data di nascita, età, altezza, peso, perché sono lì. Mi misura la pressione e la febbre e poi mi dice di attendere il medico.

Arriva la dottoressa e mi richiede come mi chiamo e quando sono nata, sai mai che nel frattempo mi sono fatta sostituire; poi impugna l’otoscopio, guarda l’orecchio destro, guarda il sinistro e dice:

“Il destro è gonfio e arrossato. Antibiotici.” si gira e se ne va. Mi viene il dubbio sia uno scherzo ma non lo è: la visita è durata 30 secondi. Urlando dico:
“Excuse me!”

Lei si ferma, si gira e mi guarda:

“È che mi fa male il collo, forse ho i linfonodi ingrossati.”

Mi ha guardata come a dire “il collo è un problema tuo, io sono qui per l’orecchio” ed ha definitivamente imboccato l’uscita.

“Ti ha detto bene!”, mi dice la mia amica Chiara, che vive a NYC, “Io ho fatto una visita online di 15 minuti con un gastroenterologo e ho ricevuto una fattura di 530 dollari e la prescrizione di un farmaco da 300 dollari. Di contro, però, il pediatra non prescrive niente online e quando le bambine hanno avuto l’otite, come te, le ha sempre volute vedere per prescrivere le gocce antibiotiche. Costo per ogni visita di pochi minuti: 250 dollari. Qui i medici sono così.”

No, qui sono così questi; i medici sono tutt’altra cosa.

Foto di RobinHiggins da Pixabay

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