Con la grande ragnatela mondiale (www) che inaugurò il terzo millennio, gran parte dell’umanità ha ormai imparato a convivere con il cambio radicale della visione del tutto e del mutato modo di esprimerne concetti e significati.
Non che la rete non mi piaccia, anzi, tutt’altro. Ma a volte l’omologazione forzata di reiterati stereotipi rischia di cancellare nuove idee e far scemare il senso critico individuale perché la rete è fondamentalmente troppo “comoda”.
Sinteticamente, un millennial annoiato può sentirsi “neet” ma anche “sneet”, significando con detti acronimi proprio quella dilagata e rassegnata abulia di fondo che si attua con la precisa non intenzione di studiare, né di cercare un lavoro”, nè tantomeno di fidanzarsi, ma neanche di limitarsi a flirtare.
Portatori di un tendenziale rilassamento ereditato dagli ultimi nati della Generazione X (tra il 1965 e il 1980), a loro volta preceduti dai baby boomer (venuti al modo nel dopoguerra con l’elevatissimo picco del 1957 che vide nascere ben 4,3 milioni di bambini), i millennials (o Generazione Y) sono stati i primi al mondo a non aver avuto bisogno dell’aiuto di un adulto per acquisire informazioni e costituiscono la generazione più numerosa in assoluto perché oggi hanno raggiunto il numero di ben 2,3 miliardi.
Sono dotati di straordinaria capacità intellettiva ma di altrettanta pigrizia fisica (raramente svolgono uno sport con regolarità) che rischia di rappresentare un grave limite al loro raggio di azione individuale.
Andiamo per ordine
Con questi numeri, certamente la saturazione del mercato del lavoro da qui ai prossimi anni potrebbe presentare aspetti preoccupanti, nè l’ipotesi della crescita in termini di sviluppo familiare vede prospettare un futuro incoraggiante.
Tuttavia, dal punto di vista meramente evoluzionistico, i nativi digitali nati dal 2005 in poi (GenerazioneZ) presenteranno qualità intellettive ancor più spiccate rispetto ai loro predecessori generazionali Y e X, se non altro perché la comunicazione attraverso i social (ancora invisi a molti) costituirà l’assoluta normalità.
Le due “sottospecie” dei neet e degli sneet sono espressione formale e sostanziale di detti mutamenti comunicazionali e si ispirano a logiche conformi a modi di reperire una stabile occupazione o di entrare in una logica di utile investimento attraverso la costituzione di una nuova famiglia.
Letteralmente neet significa not in education, or employment or training: in Italia sono circa 2,2 milioni, hanno un’età tra i 15 e i 29 anni, concentrati per lo più al sud, esasperati dal fenomeno disoccupazionale che si manifesta attraverso il respingimento del loro curriculum redatto in forma tradizionale.
È stato però rilevato che la personalizzazione del proprio profilo professionale diffusa con lo smartphone, supportata dall’aiuto di un esperto che, con una spesa tra i 30 e i 200 euro realizza un videocurriculum fedele alle qualità del candidato, il neet può superare l’impasse ampliando le possibilità di assunzione presso le grandi aziende.
Facilitandone la diffusione pubblicandolo sui social, il videocurriculum verrà analizzato col supporto delle intelligenze artificiali, cosi individuando il soggetto più adatto per una possibile assunzione ai fini di incarichi specifici.
Certamente non è facile evitare di incorrere in situazioni di nuovi sfruttamenti lavorativi, soprattutto in quei casi un cui non vi è chiarezza da parte del datore di lavoro sul percorso professionale che poteva aspettarsi o meno, soprattutto se si consideri che la logica del lavoro temporaneo (gig economy) non contribuisce affatto ad offrire aspettative di stabilità reddituale; si tratta solo di comprendere se la crescita di cui si parla, se pur lenta, sia sufficiente a garantire continuità lavorativa nel tempo per evitare di disperdere importanti energie giovanili.
Ma si auspica soprattutto che intervengano nel breve periodo nuove disposizioni legislative più sensate in materia giuslavoristica.
Apparentemente più blandi e giocosi sono gli sneet il cui significato è single not in engagment, not in expecting, not in toying, che in Italia ammontano ormai a quasi 8 milioni, spalmati su più generazioni, aumentati del 41 % negli ultimi dieci anni; ma qui la domanda che si pone è un’altra e punta a indagare sulla felicità individuale in senso stretto.
I dati dimostrerebbero che la vita di coppia sia destinata a rappresentare più un ostacolo alla propria esistenza che non a costituire il piacere di una stabile compagnia amorosa, anche se poi, contraddittoriamente, la pratica dimostra che le rubriche della “posta del cuore” siano sempre quelle più affollate, sia da parte di uomini che di donne.
L’autonomia, la libertà di decidere ogni giorno cosa fare senza rendere conto ad altre persone sulle proprie scelte di vita anche quotidiane, il voler viaggiare e poter dormire dove si vuole, il piacere di mangiare quel che piace senza condizionamenti riversati nel carrello della spesa, sembrano costituire qualità destinate ad “avere la meglio” sull’amore, sulla passione, sul piacere della condivisione reale (non quella virtuale dei post sui social).
Certamente la rete ha tolto molto tempo alle relazioni interpersonali, allargando però le chanches di nuovi incontri; ma in questa oscillazione tra novelli egoismi e paure di soffrire per il terribile “rischio di abbandono“, si può certamente sperare di ricominciare seriamente ad ascoltare i propri “battiti del cuore“, come del resto è già stato confermato dalla legge sulla famiglia egualitaria, invocata e – dopo lunghe lotte – ottenuta e finalmente attuata.
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