La nascita di Gesù, l’ora che ristabilisce l’amicizia tra l’uomo e il mondo e che rinnova ogni cosa

natale2Per Maria si compirono i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’alloggio” (cfr Lc 2,6).

Questi versetti del Vangelo questa notte riempiono il nostro cuore di indescrivibile gioia perché si compie ciò che l’Angelo aveva annunziato a Nazaret. È questo il momento che Israele attendeva da secoli; è proprio questo il momento atteso da tutti noi che, immersi nel buio del secolo, attendevamo un Dio che ci amasse concretamente e che uscisse allo scoperto; è questa l’ora che finalmente ristabilisce l’amicizia tra l’uomo e il mondo e che rinnova ogni cosa.

Ci piace immaginare come Maria abbia preparato quell’ora e il fatto che “lo avvolse in fasce” esprime chiaramente la gioia e lo zelo silenzioso di quella santa preparazione, anche se per Maria e Giuseppe non c’è posto nell’alloggio. L’umanità continua ad attendere il suo Dio ma quando giunge il momento propizio non c’è posto per Lui in questa vita. Siamo così tanto occupati con noi stessi e con le nostre faccende che per Dio, alla fine, non rimane più nulla. E più ci si arricchisce, tanto meno Dio può entrare nella nostra vita.

Si realizza quanto Giovanni scrive in un’altra pagina di Vangelo: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (1,11). L’inospitalità per il Figlio di Dio riguarda storicamente Betlemme e Israele, ma superando le barriere del tempo e dello spazio, riguarda pure noi quando non abbiamo tempo per coloro che soffrendo hanno bisogno della nostra parola e del nostro affetto. Come può Dio entrare nella nostra vita, come può trovare uno spazio se il nostro cuore è interamente occupato dal nostro io?

Allora, imitando i personaggi del Vangelo, ci siano di valido esempio i loro atteggiamenti: da Maria impariamo ad amare gli altri con la tenerezza di una madre; da Giuseppe apprendiamo il dono della fedeltà alla nostra vocazione; dai pastori riceviamo la gioia e la vigilanza; dai Magi, giunti da lontano, ereditiamo la sapienza del discernimento, certi che riguarda anche noi ciò che attesta il Prologo di Giovanni: “a quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).

Il messaggio di Natale illumina questa notte santa ma soprattutto rischiara le tenebre di un mondo chiuso ma Dio, carissimi fratelli e sorelle, non si lascia chiudere fuori; la buona notizia che scaturisce dal Natale ci dice che Dio trova sempre uno spazio per visitare questo mondo; entra magari attraverso una stalla, accolto dai personaggi del presepe che, a differenza nostra, riconoscono bene la sua luce e la sanno trasmettere.

Attraverso il Vangelo proclamato poc’anzi, l’Angelo parla anche a noi e nei gesti della Liturgia di questa celebrazione la luce del Bambino entra nella nostra vita e ci esorta a metterci in cammino, ad abbandonare il nostro io e ad uscire dal nostro piccolo mondo per andare incontro al Signore ed adorarlo. Ci piace adorarLo in questa notte fredda e santissima, aprendo il cuore alla verità e al bene, senza alcun pregiudizio.

Solo così la Chiesa formerà la comunità di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova costituita da tutti gli uomini di buona volontà. Vogliamo abitare la tua tenda, o Signore, quella stessa tenda posta in mezzo a noi 2013 anni fa! Vogliamo abitare il tuo corpo Signore, perché il nostro ormai si è fatto logoro e debole, esposto sempre al dolore ed alla sofferenza.

Fratelli, cosa ci direbbe oggi il Signore, se vedesse le condizioni in cui si trova l’uomo, la terra, il creato? Se guardiamo alla pienezza dei tempi, al momento in cui Dio fa il suo ingresso nel mondo, si ripropone ai nostri occhi lo scenario di questo secolo, già annunciato dallo spirito profetico di Anselmo di Canterbury, il quale scrive: “Tutto era come morto, aveva perso la sua dignità. Gli elementi del mondo erano oppressi, avevano perso il loro splendore a causa dell’abuso di quanti li rendevano servi dei loro idoli, per i quali non erano stati creati” (PL 158, 955s).

In questi termini e secondo la visione dei Padri della Chiesa, la stalla di Bethlemme rappresenta la terra maltrattata dai suoi stessi abitanti e Cristo è venuto nel mondo per ricostruire la sua stalla e restituire all’uomo la sua originaria bellezza e la sua dignità: è questo il motivo che a Natale fa gioire il coro degli Angeli. Così Natale diventa la grande festa dell’uomo nuovo, ricreato in Cristo, ad immagine e somiglianza dell’Altissimo, in una creazione ricostituita.

A Natale, perciò, cielo e terra, si trovano nuovamente uniti e tutto ciò che è basso si riconcilia con tutto ciò che è alto. È proprio vero, è nella stalla di Betlemme che cielo e terra si toccano perché il cielo – Cristo – è venuto ad abitare questa terra. Dalla stalla di Bethlemme si irradia una luce che è per tutti i tempi, s’accende la gioia che è per ogni uomo; da lì nasce il canto che trasforma anche i cuori più induriti. Il cielo della Giudea stasera non riguarda la geografia dello spazio, ma la geografia del cuore. E il cuore di Dio, in questa Notte santa, è sceso in una stalla: quindi, l’umiltà di Dio è il nostro cielo. C’è molto da imparare: ecco perché il messaggio di Natale non tramonterà mai.

Come i pastori, senza indugio, andiamo incontro a questa divina umiltà, solo così toccheremo il cielo e faremo nuova anche la nostra terra. Mettiamoci in cammino verso questo Bimbo che giace in una stalla! La sua gioia contagerà certamente il nostro cuore e con essa potremo rendere più luminoso l’uomo e il suo mondo. Amen.

di Fra’ Frisina

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