Tra le “grandi riforme” che Matteo Renzi vuole completare, nel corso del 2016 non c’è solo quella costituzionale, con l’abolizione del Senato elettivo e il quasi azzeramento delle sue funzioni. C’è anche quella della Pubblica Amministrazione. Almeno, in apparenza.
Con l’approvazione della Legge Delega 124/2015 il Governo – e per lui la Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia – è stato autorizzare a intervenire, per decreto, su una serie di materie che, a prima vista, farebbero tremare le vene e i polsi al burocrate più incallito.
Si tratta della riforma della dirigenza pubblica con l’introduzione del ruolo unico, il contenimento delle assunzioni in base a obbiettivi differenziati secondo gli effettivi fabbisogni di organico; la revisione dell’orario di servizio con la possibilità di ricorso a forme di lavoro flessibile; la ridefinizione della normativa concernente le conferenze di servizi e il silenzio assenso; la semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici con il riconoscimento del merito e l’introduzione di sistemi premianti; nuove norme in materia di responsabilità disciplinare; soppressione dei segretari comunali.
A ben guardare, tuttavia, non è tutto oro ciò che luccica e anzi, in alcuni casi, si notano addirittura alcuni elementi di controriforma. Il ruolo unico della dirigenza e l’obbligo delle pubbliche amministrazioni di definire le proprie dotazioni organiche in base ai fabbisogni e ai carichi di lavoro, per procedere alle assunzioni tramite concorso pubblico, infatti, sono due principi già introdotti con la riforma Cassese nel lontano 1993. Anche l’orario di lavoro flessibile e il telelavoro sono due fattispecie già introdotte nella PA sia con Cassese che con Bassanini, intorno all’anno 2000; ciò non toglie che andrebbero meglio regolamentate, attribuendo maggior autonomia al lavoratore per incentivare la qualità del lavoro. Su tale punto: giudizio sospeso.
La normativa concernente le conferenze di servizi e il silenzio assenso – anch’essa esistente e pienamente operante – andrebbe sfoltita e semplificata maggiormente, perché allo stato attuale, i burocrati e le amministrazioni periferiche hanno fatto sì che la semplificazione, entrata dalla porta, è stata cacciata dalla finestra. Riuscirà la ministra Madia a riuscire dove i suoi predecessori hanno fallito? Ai posteri la sentenza.
Sospeso anche il giudizio concernente la semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti pubblici con il riconoscimento del merito e l’introduzione di sistemi premianti, perché attualmente, con le norme penali in essere, secondo cui il dirigente è responsabile delle somme erogate in base alle proprie valutazioni, spesso chi decide è il giudice del lavoro. Dopo anni. Da questo punto di vista, non hanno torto i sindacati di categoria, quando sostengono di legare il sistema incentivante all’erogazione di prestazioni oggettive e predeterminate, evitando ogni valutazione discrezionale a posteriori.
Per quanto riguarda la materia della responsabilità disciplinare: attenzione a non limitare l’iniziativa autonoma del funzionario pubblico, quando è finalizzata all’erogazione di un servizio di qualità o al conseguimento dei risultati; perché in tal caso si commetterebbe l’errore di quel luminare della chirurgia che, dopo aver eseguito un’operazione tecnicamente perfetta, si accorge che il suo paziente è morto. La perfetta esecuzione di norme e regolamenti o degli ordini di servizi, in burocratese, vuol dire bloccare tutto. Come sta succedendo attualmente al Comune di Roma, dopo i presunti scandali a catena.
Gli unici provvedimenti di una certa efficacia sarà – se ci riusciranno – l’eliminazione dei segretari comunali e cioè dei “grandi frenatori” delle amministrazioni locali e quelli dettati dal principio del ritorno all’accentramento burocratico: la riduzione delle forze di polizia con soppressione del Corpo Forestale dello Stato; la riduzione delle camere di commercio; l’ accentramento dei concorsi pubblici; il passaggio delle visite fiscali dalle Asl all’Inps, ecc. In tale ottica si è già proceduto a un ridimensionamento del sistema delle Province ma in via ancora parziale, senza definire compiutamente funzioni e assetti e con l’introduzione della Città Metropolitana, al posto delle province più popolose.
C’è poi il riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche con l’obiettivo di chiudere le partecipate in perdita strutturale, dei servizi pubblici locali e dei giudizi innanzi alla Corte dei Conti. Ma attenzione di nuovo: perché esisterebbero le “partecipate” o le “municipalizzate” (già in corso di trasformazione in “partecipate”)? Perché i servizi essenziali devono essere garantiti e forniti al cittadino a prezzi accessibili. Di conseguenza, è difficile che le aziende preposte non siano in perdita strutturale, in un regime di tariffe non remunerative. Chiudendo le partecipate in perdita ci aspetta, perciò, una riduzione generalizzata dei servizi pubblici e/o un contemporaneo aumento delle tariffe. E, allora, buon 2016 a tutti!
Fonte foto: Il Quotidiano della PA
di Federico Bardanzellu
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