La “grande bellezza” e la grande invidia

La-grande-bellezzaSorrentino con il suo film “La Grande Bellezza” ha vinto l’Oscar come migliore film straniero. Erano anni che il cinema italiano non vinceva qualcosa a livello internazionale.  Secondo la moda italica di salire sul carro del vincitore ed omaggiare le grandi virtù e capacità del vincente, anche se prima tutti erano pronti a dire il contrario, questa vittoria avrebbe dovuto, scatenare applausi e recensioni entusiaste.

Al contrario nei confronti della vittoria del  film di Sorrentino si è notato un atteggiamento diverso, un misto di  fastidio e di incredulità con critiche anche  feroci. Da più parti si è detto che il film non doveva vincere, che era brutto, inutile, noioso, che voleva scopiazzare i grandi del cinema italiano come Fellini, che dava una pessima immagine dell’Italia eccetera. Non si è giunti all’accusa di “combine” solo perché le giurie erano internazionali e quindi difficilmente avvicinabili.

Le critiche verso un’opera musicale, letteraria o cinematografica fanno parte del gioco, spingono il pubblico alla curiosità, e non è raro che alla stroncatura della critica il pubblico risponda in maniera completamente diversa. Ma nei confronti del  film di Sorrentino si è notato qualcosa di diverso. Non solo una critica positiva o negativa in merito al film, ma una critica più profonda coinvolgendo anche chi ha deciso che quel film sarebbe stato in grado di vincere un premio importante.

Come dire il film è brutto e non doveva vincere nulla,  e chi ha deciso diversamente, è un incapace. Intanto bisognerebbe chiedere a chi fa queste critiche, se ha visto gli altri film in concorso, in questo caso tutti film stranieri, cioè non prodotti in USA, e quindi sia in grado di dire se il film vincitore meritava effettivamente il premio oppure no. Dubitiamo fortemente che lo abbiano fatto, o siano stati lontanamente in grado di farlo. Quindi queste critiche sono pretestuose, mancando completamente i parametri di giudizio, dimostrando al contrario. che forse c’è qualcos’altro che ha scatenato questa levata di scudi.

Si parla da anni del fatto che il cinema italiano sia in crisi, che sia un cinema “assistito”, che operi solo grazie ai contributi statali, concessi a detta di molti  solo ai “soliti noti”. Contributi giustissimi, ma che nella maggioranza dei casi non rispondono non solo a criteri economici ma anche ai gusti del pubblico. Insomma dei veri e propri “flop” quando arrivano nella sale, o in alcuni casi non riescono neanche a trovare un distributore.

E’ noto anche come il cinema italiano sia vincolato ad una “lobby” culturale che in una sorta di “cordata”, tra cui ci sono intellettuali, giornalisti critici ,  decide chi può entrare nel gotha della cultura ,e accedere ai finanziamenti o trovare critiche compiacenti. Certo, non si può competere con il cinema USA, che vende il suo prodotto in tutto il mondo, cosi da essere in  grado di finanziare film con milioni di dollari, ma è anche vero che il cinema italiano è autoreferenziale, utilizza attori, tanto osannati dalla critica nostrana, che su set internazionali, al massimo potrebbero fare le comparse, neanche i caratteristi.

Per non parlare delle trame, spesso noiose e inconcludenti. Si salvano in pochi, sfruttando il lato comico ottimo per fare cassetta. Quindi quando qualcuno, fuori dal coro, vince, senza “aiutini” , solo perché il prodotto è piaciuto a giurie libere, si scatenano le invidie, si punta a sminuire il prodotto con un serrato  “fuoco amico “. Se poi il film critica a certi comportamenti sociali, o certe mode culturali, insomma si permette di criticare l’establishmen culturale che si sente intoccabile,   lo fa con una ironia amara, non è più una pioggia di critiche ma un uragano.

Si arriva ad accusare di aver copiato altri registi come Fellini, di aver fruttato le bellezze di Roma per ammaliare le giurie internazionali, come se le  “location” di un film siano solo un dettaglio,  oppure che rifarsi ai grandi registi del cinema mondiale, utilizzando i loro metodi di ripresa, sia un obbrobrio e non invece la dimostrazione di una crescita. Se un regista come Tarantino racconta come in molti suoi film di grande successo si è ispirato a registi italiani, lo stesso Clint Eastwood conferma che il suo maestro è stato Sergio  Leone, la critica italica fa la ruota del pavone.

Se al contrario questo lo fa un regista italiano, e malauguratamente per alcuni, vince pure importanti premi internazionali, questo è giudicato male, come fosse un plagio meritevole delle critiche più feroci. Tutto ciò ovviamente non solo per meri interessi di bottega, ma anche  per compiacere le  note lobbies culturali.

 Solo che la bottega è fallita da molto tempo e certe lobbies culturali sono ormai mummificate.

 di Gianfranco Marullo

foto: redazione.finanza.com

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