Chi vive soltanto di bisogni materiali è condannato per sempre a rimanere sconsolato

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Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci con la quale Gesù nel Vangelo di domenica scorsa ha sfamato la moltitudine, oggi il Maestro invita quella stessa folla a riflettere sull’autore di quel miracolo e a riconoscere che c’è un pane non solo per questa vita ma anche per la vita eterna. Il Cristo nutre il credente anzitutto con la sua stessa Parola: Egli è il “Logos incarnato”, cioè la Parola di Dio che si è fatta carne umana affinchè l’uomo potesse sempre considerare Gesù come il grande dono di Dio all’umanità e che, quindi, “non di solo pane vive l’uomo, ma di quanto esce dalla bocca di Dio”.

Il racconto della storia della salvezza accenna a tanti doni di Dio e la manna nel deserto che è menzionata nella prima lettura di oggi (Dt 16,2-4. 12-15) ne è un chiaro esempio. Al popolo che contestava l’esodo, mormorando contro Mosè ed Aronne e, quindi, rifiutando la liberazione tanto desiderata  durante la schiavitù egiziana, Dio risponde con il dono gratuito della “manna”, immagine questa, della sua costante bontà e dell’amore premuroso che nutre sempre per il suo popolo, il più delle volte infedele e “di dura cervice”. E nella sinagoga di Cafarnao, Gesù invita i suoi interlocutori a considerare non Mosè e il passato ma l’oggi della storia e, quindi, il presente: “Non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero” (Gv 6,32).

Questo discorso ci rivela Gesù come “pane di Dio che dà la vita al mondo” (Gv 6,33). Noi sappiamo, però, che quella folla non cercava Gesù per questo; ed è Gesù stesso, infatti, che successivamente lo rinfaccerà alla folla senza mezzi termini. Quella della folla e che, a volte, può essere anche la nostra, è una ricerca ossessionante che fa vestire a Gesù i panni di colui che soddisfa solo un bisogno, che colma soltanto un vuoto, che sana carenze, che sazia una mancanza di pane, e che, dunque, rinchiude l’uomo nelle sue umane necessità senza aprirlo né al desiderio e né alla speranza. Il salto di qualità che Gesù oggi ci chiede di fare, esortandoci a metterci “all’opera per il cibo che non perisce” (Gv 6,27), è quello di passare dalla logica del bisogno a quella del desiderio.

Un cristianesimo che vive soltanto di bisogni materiali, senza vero desiderio di Dio, è  un cristianesimo condannato per sempre a  rimanere sterile. In questi termini, la ricerca di Dio diventa non un bisogno da colmare ma un desiderio, cioè qualcosa che trascende la stessa umanità e che la innalza, perfezionandola sempre più.

Chiediamoci, quindi, se la nostra ricerca di Dio è solo un bisogno o se è anche desiderio di Lui. A questo punto, i personaggi del Vangelo domandano a Gesù che cosa debbono fare per compiere le opere di Dio (cf. Gv 6,28). La risposta del Maestro, come già era successo in altre simili situazioni, spiazza questa domanda e Gesù invita i suoi interlocutori a fare un altro passaggio: non quello di compiere molte opere ma semplicemente quello di risvegliare in loro il dono della fede, credendo “in colui che Dio ha mandato” (Gv 6,29). La fede in Cristo, infatti, è l’unica cosa necessaria per i cristiani, la sola prerogativa richiesta per mettersi alla sequela di Gesù. La fede in Cristo, infatti, scombussola ogni piano umano, provocando un capovolgimento di prospettiva: attraverso il dono della fede l’uomo non si chiede più “che cosa devo fare?” ma “chi sono?”, si scopre cioè, un credente perché fa della sua fede la sorgente di ogni responsabilità, il principio primo del lavoro, delle fatiche, delle  lotte; in una parola, il credente fa della fede la sua  opera quotidiana, mettendola gratuitamente a servizio di Dio e del prossimo. Tutto ciò significa letteralmente mangiare la sua Parola, accogliere il suo dono, assimilare la sua volontà lasciando che la sua vita entri in noi e ci trasformi. Nello stesso tempo, però, ci è richiesto di riflettere perché il linguaggio usato da Gesù rimane duro ed incompreso: molti se ne andranno, ci dice il Vangelo; altri, invece, pur rimanendo in questa difficoltà, comprendono che c’è un qualcosa da scoprire; quello del Maestro, infatti, è un linguaggio mistico, che illustra un mistero, in questo caso, quello dell’Eucarestia, centro e vita di tutta la fede cristiana. Gesù così applica a sé le caratteristiche del pane; un dono sì, che viene direttamente da Dio, dal Cielo, ma che è anche frutto del nostro lavoro. Il pane alimenta la vita, ma non è la vita: questo è il richiamo che Gesù rivolge alla folla che lo cerca.

Ed è anche un richiamo per tutti noi, abituati il più delle volte ad impossessarci dei doni di Dio come se fossero delle prede da catturare per i nostri bisogni e non come se fossero espressione del suo amore per noi. Solo se impariamo ad accogliere i doni di Dio con stupore e desiderio potremo comprendere e desiderare il misterioso “pane disceso dal cielo”, cioè Cristo stesso. il Papa, a questo proposito, afferma: “Se Gesù dice ‘io sono il pane della vita’, vuol dire che Gesù stesso è il nutrimento della nostra anima perché anch’essa deve nutrirsi. E non bastano le cose tecniche, pur certamente importanti. Abbiamo bisogno di questa amicizia di Dio, che ci aiuta a prendere le decisioni giuste. Abbiamo bisogno di maturare umanamente. Con altre parole, Gesù ci nutre per divenire realmente persone mature e perché la nostra vita diventi molto buona, come in origine”. (cf. Ben XVI – 15 ott 2005). Come Maria impariamo dalla Parola di Dio che più Lo riconosciamo, più cresce in noi il desiderio di accoglierLo. È ciò che nello stesso tempo Le domandiamo, con cuore sincero e colmo di gratitudine. Amen.

Frà Frisina

foto: mentereale.com

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