Benvenuti in Europa

IMG_3556Monaco, 1 settembre, stazione centrale. Il treno Budapest-Monaco delle 20.27 ha qualche minuto di ritardo. Scendono solo poche decine di profughi, soprattutto siriani, ieri erano stati centinaia. Arrivano, ringraziano, sorridono e salutano chi li accoglie. E dicono che la Germania è grande, che nessun altro paese è così.

La Germania di profughi quest’anno ne aspetta ottocentomila. Molti saranno espulsi, ma i siriani, loro, no. Parola di Angela Merkel. Che ha ribadito il principio che chi ha diritto deve essere accolto e che non c’è tolleranza per l’intolleranza, per i rigurgiti nazifascisti. Bene, Angela. Altri capi di stato, al contrario, non vogliono neanche gli stessi cittadini europei se sono sprovvisti di lavoro. Quando l’ondata diventerà tsunami la generosità della cancelliera sarà criticata dagli stessi tedeschi. Soprattutto se nel frattempo non si sarà raggiunto un accordo per una equa distribuzione dei profughi tra i paesi dell’Ue. Le critiche per ora arrivano dall’Ungheria. È colpa sua, della Merkel, se c’è quest’invasione. Oggi li hanno bloccati alla stazione di Budapest. Ed è stato il caos, secondo quanto riportato dalla Süddeutsche Zeitung. Ma prima o poi se ne libereranno, li lasceranno passare.

Perché stiano costruendo dei muri se poi loro, i migranti, in Ungheria non vogliono restare è cosa apparentemente incomprensibile, oltre che costosa. I muri al confine dell’Ungheria con la Serbia sono due, inutili, prima il filo spinato, poi il reticolato alto 4 metri. Costruirli serve ad attirare l’attenzione, a farsi centro del problema, a cavalcarlo per raggiungere altri scopi. Fino a quando non saranno abbattuti, quei muri resteranno un monumento fine a se stesso, un oltraggio al principio della libera circolazione, un’offesa all’idea stessa di Europa unita. Nei trattati europei dovrebbe esserci un articolo che dice che se uno stato costruisce un muro, anche di pochi metri di lunghezza, anche un muretto, non può far parte dell’Unione e dev’essere scacciato.

IMG_3566L’emergenza migratoria sfascerà l’Europa o sarà l’opportunità per riformarla drasticamente? Lo vedremo presto, forse già nel corso del mese di settembre che si annuncia caldo. E che diventerà rovente se non si metteranno d’accordo, se non attueranno misure drastiche e coraggiose, mettendo mano ai regolamenti che non vanno, a cominciare da Dublino, e poi al cosiddetto codice comunitario dei visti. Un visto nessuno dei migranti che arrivano in Europa ce l’ha. Non ce l’hanno i siriani, ad esempio, il cui paese è sottoposto ormai da quattro anni ad una lotta di potere che ha reso impossibile viverci.

La Siria non esiste più. È terreno di scontro tra ribelli e forze governative, tra curdi e IS. Con Iran, Hezbollah, Turchia e Israele che apparentemente stanno a guardare e invece muovono redini e spingono bottoni. In mezzo a questo scenario indecifrabile la popolazione sta progressivamente abbandonando il paese. Chi non muore se ne va.
Se avessero un visto concesso da un consolato, anche da un consolato di un paese limitrofo, Libano, Giordania, o Turchia, i profughi siriani potrebbero comprarsi un biglietto d’aereo. L’aereo potrebbero prenderlo a Beirut, o in un aeroporto turco, o greco. Ma ottenere un visto a Beirut è praticamente impossibile. Ad Ankara vuol dire aspettare otto mesi. Si fa prima ad attraversarla a piedi la Turchia.

Ecco perché intere famiglie sono costrette a percorrere a piedi migliaia di chilometri se vogliono raggiungere la terra promessa, il continente vecchio. Oppure, in alternativa, devono pagare. Pagare migliaia di euro a persona e rischiare la morte per asfissia in un camion senza aria. Quei 71 morti senza nome trovati sull’autostrada hanno sconvolto l’Austria e la Germania. Non solo nel mare che ne è diventato la frontiera, ma anche nel cuore d’Europa si muore di migrazione.

IMG_3553Torniamo in stazione. Addetti al ricevimento: Poliziotti, giornalisti, medici, psicologi e cittadini comuni. La gara di solidarietà di questi ultimi è sincera e ammirevole. Qualcuno ha portato dei giocattoli. Altri biscotti e cioccolata, panini, Brezel e pezzi di torta. Ho fotografato Marco e Vanessa mentre li distribuivano ai pochi arrivati, prima che i poliziotti li portassero via. Tutto molto pacifico. Li metteranno in un centro di prima accoglienza, forse in una palestra di scuola. Almeno fino a quando le scuole resteranno chiuse per le vacanze estive. Poi li sposteranno in una sistemazione più decorosa. E in Germania in fatto di accoglienza ai migranti la parola decorosa corrisponde al significato riportato nei dizionari. Domani ne arriveranno altri. Toccherà a un’altra scuola o a una caserma dismessa. Siamo in Baviera. Qui con le folle ed i grandi numeri ci sanno fare. In nessun altro posto riuscirebbero ad organizzare la festa che a ottobre attira milioni di turisti e ha reso la città famosa nel mondo.

Negli anni cinquanta alla stazione di Monaco di immigrati ne arrivavano a migliaia ogni giorno. Tutti uomini. Tutti con tanto di contratto di lavoro. Alcuni restavano in Baviera, molti ripartivano per gli altri Länder della Germania. Le quote erano già stabilite in base alle esigenze. All’inizio erano prevalentemente italiani, per vantaggio geografico. Poi si aggiunsero greci, turchi, spagnoli e portoghesi. La manodopera maschile tedesca mancava, decimata dalla guerra. A tutti venne dato un posto letto, inizialmente in baracche. Ma erano altri tempi.

Quei lavoratori, provenienti dalle regioni più povere del meridione d’Europa, li chiamarono Gastarbeiter, lavoratori ospiti. Dovevano rimanere solo per un tempo limitato, al più qualche anno. Col tempo e col benessere portato dal boom economico furono raggiunti dalle famiglie e si stabilirono definitivamente. I Gastarbeiter hanno contribuito a ricostruire la Germania e a trasformarla nella società multiculturale e nella locomotiva d’Europa che è.

di Pasquale Episcopo

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