Amy Winehouse: un salto nel 2006 con “Back To Black”

Amy

Una delle più talentuose, quanto tormentate, artiste del soul degli ultimi 20 anni è sicuramente Amy Winehouse. Al di là delle sue vicende personali travagliate e dei problemi che l’hanno portata a bruciarsi prematuramente, ci piace ricordare quest’artista inglese per la sua voce ispirata, black e vintage.

C’è chi magari si sarà avvicinato alla sua arte dopo aver visto “Amy”, il docufilm diretto da Asif Kapadia a lei dedicato. Noi per ricordarla vogliamo portarvi indietro, nel 2006, con quello che è stato il suo album di maggiore successo, “Back To Black”.

Nata a Enfield, Middlesex, Inghilterra, un quartiere della Londra esterna, il 14 Settembre 1983, da una famiglia ebraica, Amy cresce ascoltando i grandi artisti soul del passato, oltre che il jazz, l’hip-hop e i portabandiera del neo-soul come D’Angelo, Erykah Badu, Lauryn Hill, tra gli altri. A 13 anni riceve la sua prima chitarra e a 16 entra nella National Youth Jazz Orchestra, in cui canta da professionista.

Gli esordi discografici avvengono nel 2004, quando pubblica l’album “Frank” (titolo in onore a Frank Sinatra), ottimo lavoro neo-soul pervaso da influenze jazz e hip-hop. La consacrazione arriva però tre anni dopo con “Back To Black”, lavoro del quale vi parleremo oggi.

Contrariamente al precedente, di impronta più urban, questo disco trae la sua vitalità da arrangiamenti soul vintage anni ‘60, grazie all’impiego di sezione fiati e orchestra d’archi, tutto per un album di ottimo modernariato musicale. Ascoltandolo vengono in mente influenze blasonate come la Motown, qualcosina della Stax, oltre che tutti i vari gruppi vocali femminili soul dei mitici anni ‘60. Nei testi, Amy mette a nudo tutta sé stessa, raccontando delle sue fragilità, delle vicende sentimentali tormentate, oltre che le sue inclinazioni alcoliche, come nel boogie rhythm n’ blues iniziale di “Rehab”, nelle cui strofe iniziali canta “They tried to make me go to rehab, but I’ve said no, no, no…”(Hanno provato a mandarmi in centro riabilitazionale, ma ho detto no, no, no), oppure in “You Know I’m Not Good”, caratterizzata da un’incalzante batteria hip-hop e sezione fiati bella vigorosa, in cui rende manifeste le sue impertinenze.

Ottima anche la reggaeggiante “Just Friends”, mentre più spettrale è la title-track, sulla fine di un amore travagliato. A rendere l’idea del mood del pezzo ci pensano il pianoforte e la sezione fiati. La disillusione sentimentale viene narrata in brani come “Tears Dry On Their Own”, che cita la Motown utilizzando una porzione di “Ain’t No Mountain High Enough”,  dal repertorio di Ashford & Simpson e interpretato da Marvin Gaye e Tammi Terrell, e nell’accorata e malinconica ballata “Love Is A Losing Game”, breve quanto ispirata. Per il resto ci troviamo di fronte a un disco omogeneo, scorrevole e che suona fresco e moderno pur nelle sue influenze vintage, anche grazie all’intensa e graffiante voce di Amy Winehouse, una che ha saputo fare sua la lezione di grandi donne jazz e soul del passato come Billie Holiday, Sarah Vaughan, The Supremes, Nina Simone, ma anche artisti contemporanei come The Roots, Erykah Badu, Nas, tra gli altri. “Back To Black” si avvale pure della produzione di Mark Ronson e Salaam Remi, abili nell’unire tradizione con modernità, senza esercizi stilistici fini a loro stessi, risultando qualcosa che pesca sì a piene mani dal passato, ma che ha una sua autenticità.

Chissà oggi cos’altro ci avrebbe potuto offrire ancora se fosse sopravvissuta a sé stessa: Amy è morta il 23 Luglio del 2011, un’altra vittima della cosiddetta “maledizione dei 27”(chiamata così per la morte precoce a quell’età, e di cui hanno fatto parte anche altri grandi nomi come Robert Johnson, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Kurt Cobain). Ci sarebbe piaciuto ascoltarla misurarsi e confrontarsi con alcuni dei nomi di spicco della scena neo-soul contemporanea, come Raphael Saadiq, Jill Scott, Erykah Badu o Alicia Keys, tanto per immaginare alcuni esempi. Resta comunque la sua musica a rendere viva la memoria di Amy Winehouse e a ricordarla nonostante il poco materiale inciso e la sua breve vita; e “Back To Black” rappresenta un ottimo modo per avvicinarsi alla sua arte, fatta di soul verace, autentico e capace di arrivare dritto all’anima e al cuore.

Foto di Tracey da Pixabay

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