Intervista a Marco Balzano, finalista Premio Strega 2018

Marco Balzano, milanese, insegnante di Lettere nei licei, dottore di ricerca in lettere con una tesi su Giacomo Leopardi, vincitrice del Premio Centro Nazionale di Studi Leopardiani, esordisce nel 2007 con la raccolta di poesie Particolari in controsenso (Ed. Lieto Colle), silloge premiata all’ottava edizione del Concorso nazionale di poesia e narrativa Guido Gozzano. Ha pubblicato su varie riviste (tra cui: Rivista di storia della filosofia, Rivista pascoliana, Lettere italiane, Giornale storico della letteratura italiana) articoli e saggi su Leopardi, Belli, Pascoli.

Nel 2010 pubblica il suo primo romanzo, Il figlio del figlio (Ed. Avagliano), aggiudicandosi il Premio Opera Prima all’XI edizione del Premio Letterario Corrado Alvaro.

Con Pronti a tutte le partenze (Sellerio) si aggiudica il Premio Flaiano per la Narrativa nel 2013.

L’anno successivo, sempre per i tipi di Sellerio, pubblica il suo terzo romanzo, L’ultimo arrivato con il quale si aggiudica le edizioni 2015 del Premio Campiell, del Premio Volponi, del Premio Biblioteche di Roma, del Premio Fenice-Europa. Il romanzo viene tradotto in Francia, Germania e Olanda.

Nel 2017, per il venticinquesimo anniversario della morte di Paolo Borsellino, cura insieme a Gianni Biondillo la raccolta di racconti L’agenda ritrovata. Sette racconti per Paolo Borsellino, edito da Feltrinelli.

Nel 2018 cambia casa editrice e pubblica Resto qui, il suo quarto romanzo, con Einaudi ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2018.

Chi è Marco Balzano?

Uno scrittore e un insegnante.

Scrittori si nasce o si diventa?

Personalmente credo nel talento, ma ancora di più credo che senza pratica, costanza, studio anche il talento più portentoso si polverizza in fretta.

Hai vinto il Premio Campiello e sei finalista al Premio Strega: che effetto fa partecipare a premi tanto importanti?

Non ho mai considerato i premi un metro di misura della bravura di uno scrittore. Leopardi, ad esempio, non ne ha mai vinti. Ai premi preferisco non pensarci: da eventuali belle notizie bisogna farsi sorprendere. Quello che mi importa davvero è portare avanti il mio percorso. Continuare a raccontare.

Hai scritto “non  credo ai colpi di fulmine, né in amore né nella scrittura. Però quando ho visto quel paese sommerso ho subito avuto la certezza che avevo davanti una storia, e non desideravo altro che capire se avrei saputo raccontarla”. Così è nata l’idea del tuo ultimo romanzo Resto qui, appunto tra i 12 finalisti del Premio Strega 2018. Me ne parli?

Sono finito a Curon Venosta, il borgo alpino in cui  ambientata la storia, per puro caso. Qui c’è un campanile che torreggia sull’acqua di quello che sembra un lago e che invece è una diga. È un’immagine potentissima, che prima ti fa sbarrare gli occhi per la meraviglia e poi ti fa realizzare la distruzione e la sommersione di un mondo. Volevo raccontare quel cosmo annientato da un progresso antidemocratico e dissennato, che per fare una grande opera ha messo il tritolo alle case e sommerso un’intera comunità. Ma non è solo questo: volevo da tempo scrivere un romanzo con la voce di una donna. Volevo dire “io” e essere donna. Ora che l’ho fatto posso dire che è stata una delle esperienze più potenti con cui mi sia cimentato. Un romanzo è sempre una questione di voce e di sguardo e raccontare con la voce di Trina è stato intonare una nuova musica e accedere a uno sguardo più ancestrale e materno. È stato conoscersi di più.

Che libri hai letto da ragazzo e quali scrittori apprezzi di più nel panorama letterario contemporaneo?

Ieri come oggi leggo molta poesia. Un libro che rileggevo spesso da ragazzo era Cronaca di poveri amanti di Vasco Pratolini. Ero (e sono) incantato dalla sua capacità evocativa. I contemporanei che apprezzo sono tanti: uno dei miei scrittori preferiti è senz’altro Javier Marias.

Mi racconti qualcosa della tua vita privata?

Ti racconto le prime tre cose che mi vengono in mente: ho due figli, Caterina e Riccardo.  Sono sommelier perché mio padre mi ha insegnato ad amare e conoscere il vino buono. Suono la batteria e fino a vent’anni e più sognavo di diventare un musicista.

Sei sportivo? Tifoso?

Vado in piscina e ogni tanto tiro due calci al pallone. Prima ero tifoso, dopo Calciopoli mi sono stufato. Il mio idolo è Roberto Baggio.

Che rapporto hai con i social network?

Direi ridotto all’osso. Non mi piacciono granché e non sento il bisogno di condividere esperienze, emozioni o pensieri sui social. Riconosco però che c’è gente che li sa usare in maniera intelligente e da cui ho ricevuto stimoli interessanti. Facebook mi ha dato la possibilità di dialogare con molti lettori e questa è una cosa che mi sta a cuore.

In questa nostra liquida società quali sono i tuoi punti fermi?

Studiare, leggere e, con più parsimonia, scrivere. Scrivere è un modo di salvarsi dalla realtà, che il più delle volte è limitata, oscena e deludente. Però devo dire che la mia famiglia, un paio di amici e la capacità di non prendersi troppo sul serio mi sembrano dei discreti punti fermi.

Che cosa porteresti con te su un eremo?

La divina commedia, Pinocchio, un bongo giamaicano e del vino francese.

Grazie.

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